Bene parlare di reddito minimo, ma serve sforzo verso misura universale

Mercoledì 1 Aprile 2015 1651

Le parole del Presidente dell’INPS Tito Boeri, che oggi ha ribadito la volontà di istituire una forma di reddito minimo per le persone rimaste senza lavoro nella fascia d’età tra i 55 e i 65 anni, sono importanti perché rilanciano l’attenzione sulla necessità di introdurre finalmente una misura fondamentale del modello sociale europeo, per il contrasto della povertà e per il sostegno all'autonomia delle persone.

È tuttavia indispensabile che l’intera questione venga affrontata in maniera complessiva, evitando di andare nel senso di un'ulteriore settorializzazione degli interventi. La caratteristica che contraddistingue in negativo il sistema di welfare italiano rispetto a quello europeo è infatti la sua estrema frammentazione in prestazioni categoriali, e necessita pertanto di una profonda riorganizzazione verso un universalismo selettivo, capace di includere tutti coloro che si trovano in stato di bisogno.

Nel dibattito attuale intorno al reddito minimo si continua a registrare molta confusione, a partire dalla proposta del M5S che chiama reddito di cittadinanza una misura in realtà di reddito minimo, non legandola peraltro all'indispensabile riordino delle molteplici prestazioni assistenziali oggi esistenti, ma disperse in tanti strumenti e tra diversi livelli di governo.

C'è urgenza di riportare in primo piano il dibattito sul reddito minimo, quale perno della riorganizzazione del sistema di welfare, nella consapevolezza che il processo di integrazione europea deve riguardare anche il necessario adeguamento del nostro sistema di protezione sociale, le cui lacune sono tra le cause principali degli effetti peggiori causati dalla crisi sul sistema italiano.