L'importanza del reddito minimo, pietra fondante di quell'Europa di cui Grillo è nemico

Domenica 10 Maggio 2015 2993

È difficile, infatti, non notare la profonda contraddizione che c'è nel richiedere la misura fondante di quel modello sociale europeo quando Grillo e il suo movimento vorrebbero uscirne tanto da raccogliere le firme per un referendum in tal senso. 

Sostiene Rocco Buttiglione, in merito al dibattito sulla destinazione dalle risorse aggiuntive di 1,6 miliardi previste nel Def, che "i poveri non hanno bisogno di sussidi, ma di lavoro". Nell'attesa che l'on. Buttiglione trovi lavoro a tutti i poveri del Paese, mi permetto di invitarlo a fare una simile affermazione in un convegno qualsiasi in uno qualunque degli Stati dell'Unione Europea, dove non troverà nessuno - né a destra né a sinistra - che lo conforterà nell'idea che dall'ovvia considerazione che vivere del proprio lavoro sia meglio che vivere di sussidi, possa discendere l'eliminazione di quella grandiosa conquista dell'umanità che va sotto il nome di Welfare State.

Sì, perché l'Europa si fonda su un modello sociale che purtroppo in Italia non è mai stato pienamente compiuto. La spesa sociale italiana è in linea nel suo complesso con quella europea, ma al suo interno lo squilibrio verso la spesa pensionistica è enorme, e quella parte di spesa sociale vera e propria che dovrebbe accompagnare le persone lungo tutta la loro vita, è ridotta ai minimi termini. Così essere disoccupato, o povero, in Italia, è ben diverso che esserlo negli altri paesi europei.

Purtroppo non siamo ancora riusciti a dotarci di un sistema di protezione sociale universalistico, come si impose in tutte le grandi democrazie europee dal dopoguerra in poi, basato sulla redistribuzione e non sull'assistenzialismo: la tutela del reddito, composta da strumenti di reddito minimo, assegni per i figli sganciati dall'occupazione, sussidi per la casa e soprattutto politiche attive di reinserimento sociale e lavorativo.

L'assenza di una misura di reddito minimo garantito è un'anomalia italiana, ma ancora più anomalo è il fatto che non vi sia mai stata grande attenzione o mobilitazione da parte dell'opinione pubblica, mentre le organizzazioni politiche e sociali sono state (e sono ancora in larga parte) contrarie perché il sistema attuale italiano, basato sull'assistenzialismo categoriale, garantisce loro un ruolo ben maggiore.

Se al Movimento 5 Stelle va dato atto di essere tra coloro i quali hanno messo sotto i riflettori la questione, il modo in cui ciò è avvenuto è stato grossolano, sconclusionato, demagogico. A partire dalla denominazione: parlare di "reddito di cittadinanza", ovvero un reddito di base elargito a tutti i membri di una comunità su base individuale, senza prova dei mezzi o richiesta di lavoro, è molto diverso dal proporre una misura di reddito minimo. Tant'è vero che, dopo mesi di dichiarazioni caotiche sul tema, entrando nel merito, la proposta di legge del M5S si rivela una forma di reddito minimo ampio.

La debolezza della proposta risiede nelle coperture improbabili ma soprattutto senza alcun legame con l'analisi e la revisione del sistema di protezione sociale esistente. Che c'è, ma è settoriale, suddivisa tra troppi livelli di governo, spesso distribuita arbitrariamente, poco efficace, rivolta in parte eccessiva a fasce di reddito medio a discapito di quelli con redditi bassi e bassissimi.

Senza considerare come sia davvero difficile non notare la profonda contraddizione che c'è nel richiedere la misura fondante di quel modello sociale europeo, da cui Grillo e il suo movimento vorrebbero uscire tanto da raccogliere le firme per un referendum in tal senso.

Si dirà: ma uscire dall'Euro non vuol dire rifiutare il modello sociale europeo. In realtà tutti sappiamo che la fine della moneta unica porterebbe con sé un forte arretramento nel processo di integrazione europea, anzi probabilmente vi porrebbe fine. E questo non aumenterebbe davvero le possibilità del nostro paese di raggiungere gli standard europei. Del resto, Grillo non perde occasione per additare l'Unione Europea come luogo di malaffare dei potenti e causa dei mali italiani, al punto da far sedere i suoi rappresentanti nel parlamento europeo con la destra euroscettica e xenofoba britannica, ossia agli antipodi un'idea europeista che proceda verso la costruzione degli Stati Uniti d'Europa.

E tuttavia il tema c'è, ed è centrale. Il governo Renzi ha già fatto alcuni passi importanti sulla strada del cambiamento verso un sistema di tutela dei disoccupati più ampio del passato. La nuova indennità di disoccupazione e l'ASDI sono sicuramente strumenti concreti che vanno nella giusta direzione. Ma occorre avere il coraggio di proseguire nella ricostruzione del nostro intero sistema di welfare, andando a colpire il clientelismo e la corruzione che si annidano in un sistema nel quale chi ha bisogno è costretto a dipendere dal rifinanziamento annuale di un qualche sussidio o dal giudizio di operatori pubblici, che possono dare esiti del tutto diversi a seconda della Regione o del Comune in cui si risiede (o, peggio, dal rapporto col politico di turno).

Il premier Renzi ha usato un'efficace immagine per descrivere la nostra situazione: il nostro welfare è come una rete da circo bucata. E' tempo di ricucire quei buchi. Per farlo non basterà certo il circa miliardo e mezzo emerso dalle pieghe del DEF, ma può essere un primo passo per iniziare a costruire il nuovo sistema di sostegno al reddito che l'Europa ci indica da tempo. Sarebbe un'altra occasione persa destinare anche questa importante somma a una misura aggiuntiva una tantum. Che, sia chiaro , sarebbe sicuramente meglio che destinarla a mandare soldati per le strade cittadine, come proposto dalla destra, ma che produrrebbe effetti limitatissimi per i beneficiari e cadrebbe nella vecchia abitudine di spendere risorse senza un vero piano strategico a lungo termine.

Persino nella "famigerata" lettera della BCE del 2011 si raccomandava all'Italia l'adozione di un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e di politiche attive del lavoro. Negli altri paesi anche coloro che si poggiano su un impianto sfrenatamente liberista sono consapevoli dei rischi sociali cui si va incontro senza un sostegno concreto per assicurare condizioni di vita minime (che comprendono anche il diritto all'abitare, questione che incredibilmente nel nostro paese non solo non è considerata centrale, ma spesso non è nemmeno annoverata tra le politiche sociali) alle tante e ai tanti che sono espulsi da un mercato del lavoro in profonda e continua evoluzione tecnologica, oppure non sono mai riusciti ad entrarci, per ostacoli culturali e sociali di vario tipo (si pensi alle tante donne costrette al lavoro di cura nei confronti di familiari disabili).

È sul come si rende uniforme e sufficientemente solida la rete di protezione sociale nell'attuale configurazione della società che deve caratterizzarsi il ruolo di una sinistra cui davvero stia a cuore la tutela delle fasce deboli della popolazione; non nella difesa di un sistema che è stato sì travolto dalla globalizzazione, ma anche nel suo impianto originario ha sempre portato con sé l'esclusione di pezzi importanti di società. E' un compito arduo, su cui finora tutti hanno fallito. Ma deve diventare uno dei pilastri fondamentali di ricostruzione della qualità della vita del nostro Paese, indispensabile anche alla sua competitività.

Sarebbe bello se, per una volta, si mettessero da parte demagogia e strumentalizzazioni e si provasse a lavorare insieme a questo grande obiettivo.