San Francesco e la lotta alla povertà

Sabato 20 Maggio 2017 4614

Ricordo quando l'ho visto la prima volta. Beppe Grillo raffigurato come San Francesco. Non ci volevo credere. Pensavo esistesse un limite, un senso del pudore che impedisse a un riccone che non fa nulla per nascondere i suoi agi, di accostarsi a una figura che rappresenta (anche per chi religioso non è) l'emblema della rinuncia alle ricchezze terrene, per vivere povero tra i poveri.

Ma oltre a questo, davvero chi ha fondato la sua 'predicazione' sull'insulto, sul dileggio, sul discredito degli avversari, sulla violenza verbale, può farsi raffigurare come un santo che basava la sua carica rivoluzionaria proprio sulla mitezza e il rifiuto della violenza, senza sentirsi quantomeno ridicolo? Eppure così è stato, e i media non ne hanno fatto nessuno scandalo. In fondo lui è un comico, può fare quel che vuole e alle brutte buttarla in caciara.

Sorvoliamo anche sull'appropriazione indebita della marcia della pace Perugia-Assisi fondata da Capitini e anch'essa basata su presupposti molto distanti dal credo del M5S.
Leggo che quest'anno, nella nuova edizione della marcia, Grillo si è fatto raffigurare come Prometeo. Siamo al surreale, e non vale la pena dire di più.

Vale la pena invece ribadire la questione di merito: il reddito di cittadinanza proposto dal M5S è, prima di tutto, una vera truffa. Lo è a partire dal nome della misura, che in letteratura indica il mitologico reddito di base, proposta alternativa agli attuali sistemi di welfare, accusati di spendere troppo per la gestione del sistema. Ma nella proposta di legge depositata alle camere, il M5S scrive che il reddito di base è l'obiettivo, ma (bontà loro) richiede una rivoluzione del sistema (appunto) e quindi la proposta è quella di un reddito minimo. Cioè quello che in questa legislatura abbiamo approvato noi (loro si sono astenuti, sempre meglio di Sinistra Italiana che ha votato contro) e che stiamo implementando con un processo graduale.

La loro proposta è, nell'impianto di funzionamento, simile al Reddito di Inclusione: non è strano, perché sia il nostro provvedimento, sia la loro proposta ricalcano le misure esistenti in tutti i paesi europei (mancavano noi e la Grecia, ci stiamo finalmente arrivando entrambi) e 'normati' nei principi nella Carta di Lisbona. La differenza di fondo sta nella popolazione di riferimento: noi (come quasi tutti i paesi europei) abbiamo come target la povertà assoluta, cioè circa il 7 per cento della popolazione. Loro hanno come target la povertà relativa (che in realtà è un indice di disuguaglianza, non di povertà effettiva) e cioè circa il 14 per cento della popolazione. Pare che Grillo abbia però parlato di povertà assoluta, con molta nonchalance, come se il doppio della popolazione target fosse un dettaglio trascurabile. Soprattutto, c'è un errore di fondo nella previsione dell'entità del trasferimento economico, che finirebbe con l'alimentare la c.d. Trappola della povertà (cioè la non convenienza ad andare a lavorare), questione su cui gli altri paesi europei dibattono da circa 50 anni. Dobbiamo essere molto chiari: noi abbiamo fatto una legge che per la prima volta nella storia di questo Paese riconosce il diritto a chi si trova in stato di povertà (assoluta) ad avere un sostegno dallo Stato. Le risorse stanziate sono ingenti, ma non sufficienti a coprire tutta la platea. Per ora arriveremo a circa un terzo. Ma l'implementazione graduale delle risorse è prevista anche dal progetto dell'Alleanza contro la povertà, che racchiude le organizzazioni che operano concretamente sul fronte del contrasto alla povertà. Perché è un progetto vero, valido, applicabile: e quindi fa i conti con la necessità di accompagnare l'estensione della misura con il rafforzamento dei servizi che la devono gestire, pena il fallimento della misura stessa. Infatti, non a caso le regioni più avanzate sul piano della qualità dei servizi, hanno già scelto di mettere le loro risorse a compartecipazione della misura nazionale. In Friuli e Emilia Romagna già oggi la platea è in larga parte raggiunta.

So bene che la legge è solo il primo passo (come su qualsiasi argomento): i prossimi anni dovranno vedere uno straordinario impegno per poter arrivare a far funzionare il Reddito di Inclusione come nei paesi più virtuosi. La mia più grande preoccupazione è che, con una cultura della politica e della stampa così arretrata sul tema, alle prime difficoltà la spinta ad abbandonare il progetto sarà fortissima. La confusione che il M5S porta nel dibattito non aiuta. Basti pensare a quel che accade nei Comuni dove amministrano: hanno preso lo stanziamento storico dei Comuni per i contribuiti economici alle famiglie in difficoltà e l'hanno chiamato reddito di cittadinanza. Di solito il tutto è accompagnato da una riduzione delle risorse complessive stanziate. Ma tanto chi se ne accorge? Il fatto quotidiano oggi scrive che nei Comuni in cui il M5S ha fatto il reddito di Cittadinanza si vedono già i primi frutti. Ma quali? Su quali dati si basa una simile affermazione? Nessuno. Si dice così, qualcuno ci crederà. Anzi, la maggioranza ci crederà.

Pur in questo quadro desolante, noi andiamo avanti per la nostra strada, nella convinzione che quel che stiamo facendo concretamente da tre anni a questa parte è, questa sì, una rivoluzione di sistema e chiunque conosca la materia lo riconosce. È un merito che ci possiamo, che ci dobbiamo prendere. Certo, di sicuro questo non fa di noi dei francescani. Quella è un'altra storia, a cui credo sia necessario portare rispetto