Riforma Costituzionale

Venerdì 23 Settembre 2016 di Ileana Piazzoni 3621
  1. Quali sono i tratti salienti della Riforma?
  2. La Riforma mette a rischio i principi fondamentali del nostro ordinamento?
  3. La Riforma è illegittima in quanto materia di esclusivo intervento parlamentare?
  4. La Riforma è illegittima in quanto varata da un Parlamento a sua volta “illegittimo”?
  5. Per quale motivo si è scelto di superare il bicameralismo perfetto?
  6. Come cambierà concretamente il Parlamento Italiano?
  7. Il nuovo assetto del Parlamento è il risultato di idee nuove? È vero che rappresenta una soluzione da sempre osteggiata dal centro-sinistra?
  8. Chi elegge e come si compone il nuovo Senato?
  9. Quali saranno le nuove funzioni di Camera e Senato?
  10. Il “bicameralismo differenziato” minaccia in qualche modo la democrazia?
  11. Come funzionerà il nuovo procedimento legislativo?
  12. Come funzionerà l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici della Consulta?
  13. La Riforma comporta un risparmio e uno snellimento burocratico?
  14. La Riforma Costituzionale limita la partecipazione popolare?
  15. Come cambiano le competenze delle Regioni?
  16. Migliorano la trasparenza e l’efficienza amministrativa?
  17. Il Governo eserciterà un potere autoritario sugli Enti locali e sul Parlamento?
  18. Come cambia il welfare con la Riforma Costituzionale?
  19. La Riforma è frutto di una forzatura del Governo?
  20. È vero che la Riforma costituzionale, in combinato disposto con la nuova legge elettorale della Camera, metterebbe in mano a una sola forza politica tutte le istituzioni?
  21. Legare all'esito del referendum confermativo il destino dell’esecutivo è sbagliato? È vero che si sta personalizzando il referendum in un giudizio sull'operato del premier e del Governo?

 

Quali sono i tratti salienti della Riforma?

Il testo della Riforma è finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto e all'introduzione di un bicameralismo differenziato, in cui il Parlamento continua ad articolarsi in Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti.
Il testo approvato, oltre al superamento dell'attuale sistema bicamerale, prevede, tra l'altro:

  • la revisione del procedimento legislativo, inclusa l'introduzione del c.d. "voto a data certa";
  • l'introduzione dello statuto delle opposizioni;
  • la facoltà di ricorso preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali di Camera e Senato;
  • alcune modifiche alla disciplina dei referendum;
  • tempi certi per l'esame delle proposte di legge di iniziativa popolare, per la presentazione delle quali viene elevato il numero di firme necessarie;
  • la costituzionalizzazione dei limiti sostanziali alla decretazione d'urgenza;
  • modifiche al sistema di elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale da parte del Parlamento;
  • la soppressione della previsione costituzionale delle province;
  • la riforma del riparto delle competenze tra Stato e regioni;
  • la soppressione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL).

 

La Riforma mette a rischio i principi fondamentali del nostro ordinamento? 

Assolutamente no, è un punto sul quale va sgomberato il campo da ogni sorta di mistificazione. Come recentemente ricordato anche dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, la legge costituzionale di riforma non mette in alcun modo a rischio i principi fondamentali in quanto rimarrà immutata la prima parte della Carta, che enuncia i valori fondativi del nostro ordinamento. Tra l’altro anche noti costituzionalisti, apertamente schierati ed esposti mediaticamente sul fronte del No, hanno chiaramente affermato, nel manifesto in cui originariamente esposero i loro dubbi, come questa riforma non sia in alcun modo l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione, né possa condurre a una sorta di nuovo autoritarismo.

 

La Riforma è illegittima in quanto materia di esclusivo intervento parlamentare?

Anche in merito a questa affermazione occorre fare chiarezza. Non vi è alcun dubbio che le leggi costituzionali e di riforma della Costituzione siano per eccellenza materia d’intervento parlamentare, non a caso la Carta fondamentale prevede una specifica procedura rafforzata a riguardo. Tuttavia nulla vieta che il governo possa assumere l’iniziativa, dando impulso al procedimento di riforma. Si possono citare numerosi casi, anche recenti, della vita repubblicana del nostro Paese in cui ciò è accaduto. Nel 1999 il Presidente del Consiglio Massimo D’Alema ribadiva come le riforme istituzionali fossero punto fondamentale del governo da lui presieduto e verso cui lo stesso governo doveva apportare il necessario contributo. L’iniziativa di riforma della Costituzione del 2005, culminata nel referendum dell’anno successivo, fu promossa dal governo di centrodestra allora in carica. Lo stesso Presidente del Consiglio Enrico Letta aveva legato strettamente le sorti dell’esecutivo al procedimento di riforma della Costituzione. Precedenti recenti che non solo smentiscono fantasiose e strumentali interpretazioni del dettato costituzionale, ma che sono suffragati da quanto chiaramente stabilito in sede di Assemblea Costituente. Nella seduta del 15 gennaio del 1947 presso la seconda sottocommissione (I sez.), l’On. Piccioni affermava come al governo, organo rappresentativo del potere esecutivo, non dovesse spettare l’iniziativa per la riforma della Costituzione, la quale doveva essere riservata esclusivamente al Parlamento. Questa posizione (puntualmente contrastata dall’On. Terracini) fu messa ai voti e respinta.  

 

La Riforma è illegittima in quanto varata da un Parlamento a sua volta “illegittimo”?

È un’argomentazione che riecheggia costantemente nel variegato fronte che compone il comitato per il NO. A cosa si fa riferimento? Alla sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2014, che ha dichiarato illegittima sotto diversi profili la legge elettorale Calderoli (il c.d. Porcellum). Si sostiene che un Parlamento eletto in forza di una legge elettorale illegittima non avrebbe dovuto riscrivere la Carta costituzionale perché, così facendo, avrebbe prodotto a sua volta una legge illegittima. Peccato che la sentenza della Corte sia molto chiara su un punto: la pronuncia non travolge in alcun modo la legittimazione politica e giuridica delle Camere, per cui non inficia né gli atti posti in essere antecedentemente, né gli atti adottati in seguito dal Parlamento. Basta consultare il paragrafo n. 7 della pronuncia dove testualmente si afferma: “[…] Essa (la sentenza,n.d.r.), pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto […] Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali”. Se il Parlamento fosse stato dichiarato veramente “illegittimo” dalla Corte Costituzionale, tra l’altro, dovrebbero considerarsi privi di legittimità, dunque travolti, tutti gli atti posti in essere e non solo la riforma costituzionale. La verità è che, ancora oggi, chi si ostina a sostenere questo argomento propone una sua, personalissima interpretazione della citata sentenza della Corte Costituzionale, o, nella maggioranza dei casi, non ha proprio capito (o letto) la pronuncia in questione.

 

Per quale motivo si è scelto di superare il bicameralismo perfetto?

Il punto centrale della riforma è la fine del cosiddetto bicameralismo perfetto, il quale prevede identica legittimazione e identici compiti per Camera e Senato. L’esigenza di procedere al superamento del bicameralismo perfetto (o paritario) fu avvertita già alla stesura della nostra Costituzione da molti dei padri costituenti, che consideravano il bicameralismo paritario un compromesso necessario tra le maggiori forze politiche dell’immediato dopoguerra. Lo stesso On. Ruini, il 22 dicembre 1947, rivolgendosi, in qualità di relatore all’Assemblea Costituente, affermò che la stesura della seconda parte della Costituzione, Ordinamento della Repubblica, aveva presentato gravi difficoltà, in quanto non erano stati risolti con piena soddisfazione tutti i problemi istituzionali, ad esempio le modalità di composizione delle due Camere. Giuseppe Dossetti, solo tre anni dopo l’entrata in vigore della Carta costituzionale, nel 1951, sottolineava come il sistema costituzionale italiano fosse stato strutturalmente predisposto sulla premessa di un contrappeso reciproco di poteri e quindi di un funzionamento complesso, lento e raro, come quello di uno Stato che non avesse da compiere che pochi e infrequenti atti sia normativi che esecutivi. Una situazione dunque nota sin da allora, che ha portato poi, specie negli ultimi decenni, a evidenti difficoltà nel legiferare, ripercuotendosi ciò sulla qualità della legislazione e nell’abuso del ricorso a istituti come la decretazione d’urgenza (giunta sino alla prassi della reiterazione di decreti leggi scaduti, poi bocciata dalla Consulta), la delega legislativa e il ricorso alla questione di fiducia. Il superamento del bicameralismo perfetto è dunque una delle finalità della riforma su cui concordano la maggior parte dei costituzionalisti, anche coloro i quali manifestano contrarietà o palesano criticità sul testo licenziato, considerando anche come, sotto questo profilo, l’Italia costituisca ormai quasi un unicum nel panorama dei paesi dell’Unione Europea. 

 

Come cambierà concretamente il Parlamento Italiano?

Il Parlamento continuerà ad articolarsi in Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, ma i due organi avranno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti. Alla Camera dei Deputati – di cui non è modificata la composizione – spetta la titolarità del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo sull’operato del Governo. Il Senato della Repubblica (che mantiene la denominazione vigente) diviene organo a elezione indiretta, sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali.

 

Il nuovo assetto del Parlamento è il risultato di idee nuove? È vero che rappresenta una soluzione da sempre osteggiata dal centro-sinistra?

L’idea del superamento del bicameralismo paritario e soprattutto della trasformazione del Senato in organo rappresentativo delle istituzioni territoriali è sempre stato al centro del dibattito politico italiano, specie nel campo del centrosinistra. Il programma elettorale della coalizione guidata da Romano Prodi, L’Ulivo, nel 1996 proponeva di modificare l’assetto istituzionale del Paese in questa direzione: “La realizzazione di un sistema di ispirazione federale richiede un cambiamento della struttura del Parlamento”. E ancora: “Il Senato dovrà essere trasformato in una Camera delle Regioni, composta da esponenti delle istituzioni regionali che conservino le cariche locali e possano quindi esprimere il punto di vista e le esigenze della regione di provenienza […] I poteri della Camera delle Regioni saranno diversi da quelli dell'attuale Senato, che oggi semplicemente duplica quelli della Camera dei Deputati. Alla Camera dei Deputati sarà riservato il voto di fiducia al Governo. Il potere legislativo verrà esercitato dalla Camera delle Regioni per la deliberazione delle sole leggi che interessano le Regioni, oltre alle leggi costituzionali”. Nel programma della coalizione Italia Bene Comune, alla voce "assetto istituzionale", la proposta era quella di garantire “un sistema parlamentare rafforzato e semplificato, un ruolo incisivo del Governo, un federalismo responsabile e ordinato, che faccia delle autonomie un punto di forza democratico e unitario del Paese”. Come è stato più volte ricordato, Italia Bene Comune ha fatto la sua campagna elettorale dicendo che avrebbe cambiato la Costituzione e modificato la forma di Governo, mantenendo il rapporto fiduciario, ma rafforzando il potere del Presidente del Consiglio, facendo ricevere ad esso solo il voto di fiducia e dando al premier stesso, secondo un modello che viene chiamato per similitudine “Westminster”, il potere di chiedere lui e di ottenere dal Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere. Una direzione ben più netta di quella concretamente presa con la Riforma costituzionale approvata, che lascia assolutamente immutata la forma di Governo.

 

Chi elegge e come si compone il nuovo Senato?

Rispetto ai 315 senatori elettivi previsti dalla Costituzione vigente, il Senato sarà composto di 95 senatori eletti dai Consigli Regionali – in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi – tra i consiglieri regionali e i sindaci del territorio, cui si aggiungono gli ex Presidenti della Repubblica e 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica, ma avranno un mandato non più “a vita” ma con scadenza dopo 7 anni.
I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono con metodo proporzionale i senatori fra i propri componenti (74) e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori (21). 
A ogni Regione è assegnato un numero di rappresentanti proporzionale alla propria popolazione, che non può essere inferiore a due. 
Un emendamento approvato a Palazzo Madama ha previsto che l’elezione del Senato avvenga in conformità con le scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione delle elezioni regionali, secondo delle modalità che andranno stabilite con legge della Repubblica, approvata da entrambe le Camere. La legge in questione sarà dunque chiamata a disciplinare le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. La durata del mandato dei senatori coinciderà con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti. In caso di scioglimento del Consiglio regionale, il senatore-sindaco resterà dunque in carica fino alla cessazione del relativo mandato locale. Di conseguenza, il Senato non potrà essere oggetto di scioglimento e si configurerà come organo a rinnovo parziale continuo, in base alla scadenza dei mandati territoriali dei componenti. Si è stabilito infine, a livello costituzionale, che le leggi che disciplinano le modalità di elezione di entrambe le Camere promuovano l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.

 

Quali saranno le nuove funzioni di Camera e Senato?

La sola Camera dei Deputati, essendo eletta direttamente dal Corpo elettorale, rappresenterà la Nazione e parteciperà alla determinazione dell’indirizzo politico, accordando e revocando la fiducia al Governo.
Divengono di esclusiva competenza della Camera dei deputati:  

  • la deliberazione dello stato di guerra a maggioranza assoluta dei componenti del collegio; 
  • l’approvazione delle leggi di amnistia e indulto a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti;
  • l’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali di natura politica, o che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi; 
  • l’autorizzazione a sottoporre il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri alla giurisdizione ordinaria per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni. 

Il Senato sarà invece chiamato a:

  • rappresentare le istituzioni territoriali; 
  • esercitare le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica; 
  • concorrere all’esercizio della funzione legislativa; 
  • concorrere all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione Europea; 
  • partecipare alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea; 
  • valutare le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni; 
  • verificare l’impatto delle politiche dell’Unione Europea sui territori; 
  • concorrere ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge; 
  • concorrere a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato; 
  • partecipare alla elezione del Presidente della Repubblica, dei giudici della Corte costituzionale e dei membri laici del CSM; 
  • svolgere inchieste su materie di pubblico interesse concernenti le autonomie territoriali, nel qual caso non è previsto che la composizione della commissione d’inchiesta debba rispecchiare la proporzione dei gruppi presenti in Assemblea;  
  • svolgere attività conoscitive e formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati.

 

Il “bicameralismo differenziato” minaccia in qualche modo la democrazia?

Naturalmente no. La nuova architettura istituzionale, come detto, prevede che i Deputati rappresentano la Nazione, mentre i Senatori rappresentano le Istituzioni territoriali. Questo dibattito risale ai tempi dell’Assemblea Costituente, dove era stata avanzata da molti membri l’ipotesi di una Camera della Regioni: “Credo che si può - senza affermare un concetto federalistico, con cui questa Assemblea non è d'accordo - affermare un altro concetto, che è un chiarimento, dicendo per esempio: I Senatori rappresentano le Regioni nell'ambito dell’unità nazionale” (Emilio Lussu, intervento in Assemblea Costituente, seduta plenaria, del 7 ottobre 1947). Se si guarda oggi alle esperienze dei Paesi europei con sistemi bicamerali, e di moltissime altre nazioni occidentali, si nota come il bicameralismo differenziato sia quasi la norma, in particolar modo per quanto riguarda la tipicità della “Camera alta” (il Senato) come Camera della rappresentanza territoriale, a elezione indiretta e con ruoli assai diversi dalla “Camera bassa”. In Spagna, Belgio, Olanda, Germania o Austria, le camere alte sono tutte di rappresentanza territoriale. In Belgio addirittura i senatori sono in parte eletti in secondo grado e in parte in terzo grado, in quanto alcuni membri sono ‘cooptati’ dai primi. In uno stato fortemente centralizzato come la Francia, il Senato, che è elettivo di secondo grado e sottoposto a un rinnovo parziale, è eletto in ogni dipartimento da un collegio di “grandi elettori” composto da deputati, consiglieri regionali, consiglieri dipartimentali e delegati di consigli municipali. Ovviamente nessuno in Belgio o in Francia mette in discussione la democraticità di tale sistema, il quale anzi garantisce forte rappresentatività al popolo su due livelli distinti, a livello unitario nazionale e sul piano delle comunità locali. A ulteriore conferma della tutela democratica espressa dalla riforma, vengono inserite chiare disposizioni che attribuiscono ai regolamenti parlamentari l’obbligo di garantire i diritti delle minoranze parlamentari, nonché di garantire la parità di genere nelle due camere: disposizioni prima assenti nel testo costituzionale.

 

Come funzionerà il nuovo procedimento legislativo?

Il procedimento legislativo ordinario porterà al superamento della prassi del c.d. “sistema delle navette”, che prevede, per licenziare una proposta di legge, approvazione conforme del testo da entrambe le Camere. Il nuovo procedimento legislativo si articolerà in tre sub procedimenti (bicamerale, monocamerale e relativo alla clausola di supremazia) e si declinerà nei seguenti modi:

  • Procedimento monocamerale, che si applicherà in via generale: tutte le leggi diverse da quelle bicamerali sono approvate dalla Camera dei Deputati e sono esaminate dal Senato se lo richiede un terzo dei suoi membri entro dieci giorni dalla trasmissione da parte della Camera. In tal caso il Senato può approvare proposte di modifica entro i successivi trenta giorni. La Camera dei deputati delibera su tali proposte in via definitiva. Per la legge di bilancio e per quella che approva il rendiconto consuntivo, le proposte di modifica del Senato devono essere approvate entro quindici giorni dalla trasmissione del testo da parte della Camera. Quando il Senato non intenda procedere all’esame, ovvero quando sia decorso inutilmente il termine per deliberare ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.
  • Procedimento bicamerale, che richiede l’approvazione dei disegni di legge da parte di entrambe le Camere per:
  1. le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali; 
  2. le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari e le altre forme di consultazione di cui all’art. 71; 
  3. le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni; 
  4. la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e alla attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea; 
  5. la legge che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’art. 65, primo comma, della Costituzione; 
  6. la legge che regola le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché le modalità di sostituzione dei membri del Senato in caso di cessazione della carica elettiva regionale o locale; 
  7. le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea; 
  8. la legge che disciplina l’ordinamento di Roma capitale; 
  9. le leggi che riconoscono ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni ordinarie ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione; 
  10. la legge che disciplina l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato nei confronti di Regioni, Comuni e Città metropolitane ai sensi degli artt. 117, quinto comma, e 120, secondo comma; 
  11. la legge che disciplina i casi e le forme in cui le Regioni possono concludere accordi con altri Stati e intese con enti territoriali interni ad altri Stati; 
  12. la legge che determina i principi generali del patrimonio dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni; 
  13. la legge che detta i principi fondamentali del sistema di elezione e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente della Giunta regionale, dei membri della Giunta e dei consiglieri regionali, che definisce la durata degli organi elettivi e i relativi emolumenti e che stabilisce i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza; 
  14. la legge che prevede il distacco dei Comuni da una Regione.
  • Relativo alla “clausola di supremazia”. Solo per le leggi che danno attuazione all’art. 117, quarto comma, della Costituzione (c.d. clausola di supremazia) le proposte di modifica deliberate dal Senato a maggioranza assoluta dei suoi componenti potranno essere “superate” dalla Camera dei deputati con l’approvazione finale del disegno di legge da parte della maggioranza assoluta dei propri membri.

Il potere di istituire Commissioni di inchiesta viene mantenuto sia alla Camera sia al Senato, ma limitato per quest’ultimo a inchieste su materie “concernenti le autonomie territoriali”. 

 

Come funzionerà l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici della Consulta?

Resta ferma l’attribuzione al Parlamento in seduta comune dell'elezione del Presidente della Repubblica, ma non è più prevista la partecipazione all'elezione dei delegati regionali, alla luce della nuova composizione del Senato. Inoltre, per l’elezione del Capo di Stato, il quorum si abbasserà non più come oggi, dai 2/3 dei primi tre scrutini alla maggioranza assoluta dal IV in poi, ma dai 2/3 ai 3/5 di tutti gli aventi diritto dal IV scrutinio in poi e dei 3/5 dei votanti presenti dal VII scrutinio in poi. Risulterà dunque impossibile per una sola forza politica eleggere da sola il Capo dello Stato, anche se le prossime elezioni si svolgessero con in vigore la legge elettorale c. d. Italicum. L’ipotesi suggestiva che le forze di opposizione abbandonino le votazioni (ipotesi mai verificatasi nella storia della Repubblica, dove alle votazioni del Capo dello Stato hanno partecipato oltre il 98% degli aventi diritto) appare poco sensata e priva di alcuna motivazione. Tale assurda ipotesi, tra l’altro, è astrattamente realizzabile anche a Costituzione vigente. Con la riforma, infine, nel caso in cui il Presidente della Repubblica non possa adempiere alle proprie funzioni, la supplenza spetterà al Presidente della Camera e non più, come oggi, al Presidente del Senato. Circa l’elezione dei cinque giudici della Corte Costituzionale di nomina parlamentare viene prevista la nomina di 3 giudici da parte della Camera e di 2 giudici da parte del Senato.

 

La Riforma comporta un risparmio e uno snellimento burocratico?

Sì. Non solo perché il numero di senatori scende da 315 a 100, determinando un taglio ai costi della macchina statale significativo e ragionevole, ma anche perché i nuovi senatori non ricevono alcuna indennità o stipendio aggiuntivo per il ruolo svolto. Di fatto la riforma limita il compenso dell’indennità parlamentare ai soli membri della Camera dei Deputati, mentre il trattamento economico dei senatori-sindaci e dei senatori-consiglieri regionali resta solo quello della carica territoriale che rivestono. Tra l’altro, l’eliminazione dell’elezione di primo grado dei senatori comporterà un risparmio oggettivo in termini di spese elettorali. Viene oltretutto inserito nel testo costituzionale un limite agli emolumenti dei membri degli organi elettivi regionali (dai quali dunque provengono anche i Senatori), i quali non possono in nessun modo superare i compensi dei Sindaci dei Comuni capoluogo di Regione. La riforma snellisce la macchina statale anche predisponendo l’eliminazione del CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) come organo di rilevanza costituzionale, organo che peraltro era già stato riformato in passato con una significativa riduzione dei suoi componenti. La ragione della soppressione del CNEL sta nel fatto che tale organo ha prodotto un numero ridotto di iniziative parlamentari e non appare oggi più rispondente alle esigenze di raccordo con le categorie economiche e sociali che in origine ne avevano giustificato l'istituzione. Viene infine predisposta, nel testo costituzionale, l’abrogazione delle Provincie, mentre attraverso una disposizione finale viene introdotto il riferimento all’ente di “area vasta” con particolare riguardo alle Città metropolitane che ereditano le funzioni di alcune Province.

 

La Riforma Costituzionale limita la partecipazione popolare?

L’elezione indiretta del Senato certamente cancella quello che precedentemente era un passaggio elettorale, fermo restando che i membri del Senato restano comunque figure politiche votate dal corpo elettorale tramite l’elezione dei Consiglieri regionali e l’elezione diretta dei Sindaci. La riforma, però, prevede una serie di aggiornamenti nel testo costituzionale per quanto riguarda le forme di democrazia partecipata. Da una parte, viene elevato da 50 mila a 150 mila il numero di firme necessario per la presentazione di un progetto di legge (anche in base all’incremento demografico) e, dall’altra, viene introdotto il principio che ne deve essere garantito l’esame e la deliberazione finale. Questo perché l’istituto dell’iniziativa legislativa popolare ha avuto una ridotta incidenza nell’esperienza costituzionale italiana, sia perché ad esso non si è fatto frequente ricorso da parte del corpo elettorale, sia perché i progetti di legge presentati hanno avuto seguito in Parlamento in un numero limitato di casi. Inoltre, vengono introdotti nell’ordinamento due nuovi tipi di referendum: il referendum propositivo e quello d’indirizzo. La disposizione, come indicato esplicitamente, è finalizzata a favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche. Per quanto riguarda in particolare il referendum propositivo, si tratta di un istituto nuovo per l’esperienza costituzionale italiana, benché già previsto da alcune Regioni. Viene infine introdotto un diverso quorum per la validità del referendum abrogativo: si mantiene la possibilità per 500.000 elettori di richiedere il referendum, lasciando invariato l’attuale quorum di validità, ossia la maggioranza degli aventi diritto al voto, e al contempo si prevede, in caso di richiesta da parte di 800.000 elettori, un abbassamento del quorum portandolo alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni alla Camera.

 

Come cambiano le competenze delle Regioni?

Il decreto riscrive ampiamente l’articolo 117 della Costituzione, in tema di riparto di competenza legislativa e regolamentare tra Stato e Regioni. L’elenco delle materie è ampiamente modificato, con una redistribuzione tra competenza esclusiva statale e competenza regionale. Fin dall'approvazione nel 2001 della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, il problema principale è stato quello di una chiara individuazione del contenuto delle materie, al fine di determinare una netta linea di demarcazione tra competenza statale e competenza regionale. Nonostante siano oramai trascorsi tredici anni dalla riforma, l’attribuzione di una disciplina normativa alla sfera di competenze dello Stato o delle Regioni non sempre si fonda su criteri definiti, dando luogo ad una serie di interferenze e sovrapposizioni fra i diversi ambiti tali da renderne incerta l’interpretazione. Ne deriva che, per determinare i confini tra attribuzioni statali e regionali, bisogna spesso attendere l'intervento della Corte costituzionale, le cui decisioni, per loro stessa natura, soffrono del forte limite della riferibilità a singole e specifiche disposizioni. Le modifiche apportate dalla Riforma all’elenco delle competenze intervengono finalmente su questo assetto per sbrogliare le forti incertezze interpretative ed applicative. Occorre sottolineare inoltre come la devoluzione alle Regioni di materie e competenze di rilievo, più che dare al nostro sistema un’efficace impronta federalista, abbia contribuito ad aumentare squilibri e disomogeneità all’interno del nostro territorio nazionale. 
Una delle principali novità del nuovo riparto di competenze legislative consiste nella soppressione della competenza concorrente tra Stato e Regioni. In base all’art. 117 attualmente vigente, nelle materie di competenza “concorrente” spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato, ma questo comporta in ambito costituzionale una serie di difficoltà interpretative. Così, nel nuovo articolo 117, la maggior parte delle materie attualmente di competenza concorrente sono in massima parte attribuite all’esclusiva competenza statale: coordinamento di finanza pubblica e sistema tributario, previdenza complementare e integrativa, commercio con l’estero, ordinamento sportivo, ordinamento delle professioni, protezione civile, produzione e trasporto nazionale dell’energia ecc. Mentre per alcune altre materie specifiche, attualmente sempre di competenza concorrente, la competenza esclusiva statale convive in diverso modo con competenze regionali (salute, sicurezza alimentare ecc.)
Le Regioni a statuto speciale risultano escluse dall'applicazione del nuovo riparto di competenze.
Il nuovo quarto comma dell’articolo 117 della Costituzione introduce una clausola di supremazia, che consente alla legge statale, su proposta del Governo, di intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, e quindi in ambiti di competenza regionale, quando lo richieda:

  • la “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica”;
  • la “tutela dell’interesse nazionale”.

La nozione di “tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica” è già prevista nell'attuale testo costituzionale dall'articolo 120, secondo comma, tra i presupposti che giustificano l’esercizio in via straordinaria del potere sostitutivo del Governo nei confronti degli organi delle regioni e degli enti locali.
Occorre sottolineare come, nei fatti, tale clausola sia già stata introdotta nel nostro ordinamento in via giurisprudenziale, dapprima con la c.d. “chiamata in sussidiarietà” (sent. Corte Cost. n. 303/2003), poi con la lettura sconfinata delle c.d. “materie trasversali” come la tutela della concorrenza, l’ordinamento civile e il coordinamento della finanza pubblica. L’introduzione espressa della “clausola di supremazia”, peraltro sottoposta al vincolo procedimentale della proposta legislativa governativa, ha dunque la funzione di rendere flessibile il sistema delle competenze, salvaguardando gli interessi di fondo che lo Stato deve sempre tutelare, come avviene in altre esperienze ancora più marcatamente federali come quella americana, quella tedesca e quella canadese.

 

Migliorano la trasparenza e l’efficienza amministrativa?

Nel modificare l’articolo 118 del testo costituzionale, il decreto aggiunge una disposizione che fa riferimento alle modalità di esercizio delle funzioni amministrative, mentre il testo vigente disciplina solo l’attribuzione delle funzioni amministrative. Nello specifico, viene stabilito che le funzioni amministrative sono esercitate “in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori”. Con tale previsione vengono elevati a rango costituzionale alcuni principi generali dell’attività amministrativa, andando così ad investire le modalità di esercizio delle funzioni amministrative tout court, cioè l’azione amministrativa di tutti i livelli di governo (Stato, Regioni, Città metropolitane, Comuni).

 

Il Governo eserciterà un potere autoritario sugli Enti locali e sul Parlamento?

No, anzi, con il superamento del bicameralismo perfetto sia gli enti locali che l’assemblea legislativa avranno strumenti di controllo e di autonomia maggiori rispetto a prima. Con il nuovo Senato gli enti territoriali saranno rappresentati direttamente nelle istituzioni dello Stato attraverso i loro stessi membri, mentre con l’incremento delle competenze della Camera dei deputati il Parlamento assume poteri che non aveva in precedenza. Basti pensare alla modifica della disciplina del cosiddetto potere sostitutivo del Governo, che dovrà prevedere il “parere preventivo del Senato” prima di poter essere messo in atto, mentre prima non era sottoposto ad alcun vincolo da parte di uno dei rami del Parlamento o di altre istituzioni.
Viene espressamente prevista, nella Carta costituzionale, la garanzia dei diritti delle minoranze parlamentari, da attuare secondo i regolamenti delle Camere. Al regolamento della Camera è affidata inoltre la disciplina dello statuto delle opposizioni.
Infine, viene inserito per la prima volta in Costituzione il preventivo controllo di costituzionalità delle leggi elettorali (che restano leggi ordinarie). Quest’ultimo potrà essere chiesto da un quarto dei deputati nell'immediatezza dell’approvazione della nuova legge. Inoltre, novità introdotta alla Camera con un emendamento PD, si estende il controllo di costituzionalità non solo alle leggi future ma anche alle vigenti purché richiesto entro 10 giorni dall'approvazione della riforma.

 

Come cambia il welfare con la Riforma Costituzionale?

Con l’approvazione di un emendamento alla Camera divengono competenza esclusiva dello Stato non solo le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, ma anche quelle per le politiche sociali.
Nel nuovo articolo 117, l’ambito materiale concernente la salute è articolato nel modo seguente:

  • le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute spettano alla competenza esclusiva statale;
  • la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari è ascritta alla competenza regionale.

Il riferimento alle “disposizioni generali e comuni” in luogo dei “principi fondamentali” per la tutela della salute, significherà affidare alla legislazione statale la disciplina comune, uniforme sul territorio, anche se di dettaglio. Inoltre, la riforma attribuisce nuovamente allo Stato la facoltà di adottare regolamenti anche in materia di tutela della salute, sebbene limitatamente alle disposizioni generali e comuni. Questo significa che potranno nuovamente essere utilizzati, ad esempio, strumenti quali gli atti di indirizzo e coordinamento in materia sanitaria che erano stati eliminati con la vecchia riforma del Titolo V. È da considerare, infine, il ruolo che sarà attribuito nella nuova articolazione delle competenze alla Conferenza Stato-Regioni (che nel sistema vigente ha un ruolo rilevante nel raccordo delle competenze tra Stato e Regione in materia sanitaria) soprattutto negli ambiti di tutela della salute che non ricadono nella programmazione e organizzazione dei servizi sanitari.
Per quanto riguarda le politiche sociali, nell'attuale sistema di riparto delle competenze, esse sono attribuite alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni. Grazie alla modifica introdotta alla Camera, le disposizioni generali in materia di politiche sociali divengono di competenza statale (accanto alle politiche sanitarie) mentre restano alle Regioni l’organizzazione e la programmazione dei servizi. Una formula più chiara che potrà dipanare il caos interpretativo che si generava tra i livelli essenziali della prestazioni di competenza statale, e le competenze complessive delle Regioni in materia di politiche sociali. Lo Stato fornirà dunque indicazioni normative alle quali le Regioni dovranno attenersi, col risultato che non potranno più verificarsi discrepanze tra Regioni virtuose ed altre meno ricettive nel campo dell’erogazione dei servizi sociali. 
Una modifica di sostanziale importanza, che recepisce il dibattito e le indicazioni fornite come Commissione Affari Sociali, in quanto in molte situazioni (basti pensare alla disabilità o alla non autosufficienza) è evidente la necessità di una programmazione degli interventi unitaria, che non riguardi solo il profilo della sanità, ma quello complessivo socio-sanitario. Un cambio di rotta nelle politiche sociali che potrà facilitare il consolidamento di una “infrastruttura normativa”, che delinei un quadro chiaro di interventi socio sanitari da realizzare in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.

 

La Riforma è frutto di una forzatura del Governo?

Assolutamente no, basti pensare all’esame in Aula dell’incredibile numero di oltre 83 milioni di emendamenti. Ferme restando le diverse considerazioni politiche sui motivi e sulle opportunità di alcune forze di opposizione di uscire dall’Aula al momento della votazione finale sulle riforme costituzionali, la suddetta votazione si è svolta senza alcuna presunta irregolarità giuridica, né tanto meno costituzionale. Non è infatti stata violata alcuna delle regole stabilite dalla Costituzione (in particolare l'articolo 138), né i Regolamenti parlamentari (art. 97/100 Reg. Camera e artt. 121/124 Senato) o la legge sui referendum n. 352/1970. Appare opportuno ricordare le modalità entro cui avviene il processo di revisione della Costituzione. Innanzitutto, il Parlamento deve votare un testo identico per quattro volte. Di norma, dunque, finché non si raggiunge un testo identico tra i due rami del Parlamento, si fa la spola tra una camera e l'altra, ogni volta limitandosi alle sole parti cambiate. Nelle due letture si vota a maggioranza semplice, come se si trattasse di una legge ordinaria. Di conseguenza non ha alcun senso giuridico contestare il fatto che la riforma sia stata approvata in alcuni passaggi parlamentari con meno voti favorevoli della maggioranza assoluta, dato che essa non è richiesta. Le ultime due letture sono senza emendamenti, si tratta di dire sì o no al testo nel suo complesso. Se vi è una maggioranza di 2/3 dei componenti tutto si chiude lì. Se c'è la maggioranza assoluta dei componenti (316 deputati, 161 senatori) può essere indetto un referendum, in quanto richiesto da 1/5 dei deputati, 1/5 dei senatori, 500 mila elettori e 5 consigli regionali senza nessun'altra limitazione di collocazione o di motivazione. Quindi può essere richiesto sia da parte di chi si oppone alla riforma, per bloccarla, sia da chi è favorevole perché ritiene opportuno che vi sia anche un passaggio popolare. In questo caso, il Governo e il Pd avevano già da tempo assicurato il vaglio della riforma tramite referendum popolare, a prescindere dalla maggioranza ottenuta in Parlamento. Insomma, l’ultima parola sarà degli elettori, la presenza o meno delle opposizioni in Aula non avrebbe potuto cambiare nemmeno questo aspetto.

Circa la partecipazione delle opposizioni, occorre sempre ricordare come sul testo sia stata trovata un’ampia convergenza in Parlamento e che solo vicende che esulano dal merito della Riforma (l’elezione a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella) abbiano portato Forza Italia a disconoscere in seconda lettura quanto fino ad allora sostenuto.

 

È vero che la Riforma costituzionale, in combinato disposto con la nuova legge elettorale della Camera, metterebbe in mano a una sola forza politica tutte le istituzioni?

Assolutamente no. L’approvazione dell'Italicum non è un elemento che mette in discussione la riforma costituzionale, perché tutte le maggioranze qualificate o restano tali, o ne escono rafforzate. Il Parlamento in seduta comune, un organo che viene indubbiamente ridimensionato, consta sempre di 725 componenti. Chi ne controllasse 340, grazie al premio di maggioranza previsto dall'Italicum, resta sotto di 23 rispetto alla maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune, resta sotto di 95 rispetto alla maggioranza dei tre quinti, resta sotto di 142 rispetto a quella dei due terzi.  La realtà è diversa da quella che viene raccontata. L’obiettivo della legge elettorale, che è senza dubbio reso funzionale dalla fiducia lasciata alla sola Camera dei Deputati è quello di optare per un modello di democrazia decidente. Come affermava Piero Calamandrei, “una democrazia che non decide è l'anticamera della dittatura” e la storia istituzionale del Paese mostra profondi limiti sotto questo profilo: in settant'anni si sono succeduti ben 63 Governi e quello attualmente in carica è già il sesto su 63 per longevità. Il meccanismo del voto di fiducia di una sola Camera, con il premio di maggioranza al partito che vince le elezioni, auspicabilmente porterà a dei Governi che dureranno in carica per cinque anni, verso una compiuta democrazia dell’alternanza.

 

Legare all'esito del referendum confermativo il destino dell’esecutivo è sbagliato? È vero che si sta personalizzando il referendum in un giudizio sull'operato del premier e del Governo?

Queste obiezioni sono del tutto strumentali. Bisogna ricordare qual è stata l’origine della legislatura in corso, le difficoltà a far nascere un esecutivo, la necessità di dar luogo a un governo di larghe intese con lo scopo di avviare un percorso di riforme che portassero a quei mutamenti necessari affinché il nostro Paese si dotasse di una moderna e funzionale struttura istituzionale. Un mandato specifico, a garante del quale si è posta la riconferma del Presidente Giorgio Napolitano e ribadito poi dal Presidente Sergio Mattarella. Un mandato caratterizzato da un percorso di riforme istituzionali a cui aveva già legato il destino del proprio esecutivo il Presidente del Consiglio Enrico Letta. Appare abbastanza contraddittorio che autorevoli protagonisti di quella fase politica professino la loro contrarietà a un esito già segnato con l’inizio della legislatura. Si sostiene poi che legare l’esito del referendum al destino dell’esecutivo porterebbe a una personalizzazione dello stesso di natura plebiscitaria, che esulerebbe dal merito e ricondurrebbe questo passaggio storico solo a un giudizio sull'operato del Premier e dell’esecutivo. Anche in questo caso l’argomentazione non appare valida. Legare il destino dell’esecutivo all’approvazione della Riforma costituzionale non rappresenta altro se non il rispetto del mandato di inizio legislatura e un atto di estrema serietà istituzionale. Sulla personalizzazione del referendum poi ci sarebbe molto da dire, basti considerare l’estrema eterogeneità della composizione del comitato per il No. Un comitato che riunisce la Lega Nord, il Movimento 5 Stelle, Sinistra Italiana e Forza Italia. Forze talmente eterogenee riunite, più che dal merito della consultazione, dal calcolo e dal posizionamento politico.