Oltre noi stessi: siamo disponibili al cambiamento?

Domenica 6 Luglio 2014 2089

Caro Enrico,

ho letto con molto interesse il tuo articolo. Finalmente una riflessione seria che chiede risposte anziché emettere sentenze.

Proverò a interloquire con te e a esprimere il mio punto di vista, sperando che possa essere utile a innescare una riflessione più ampia.

C’è però un presupposto che devo innanzitutto chiarire: io non condivido il giudizio che tu dai su Matteo Renzi e, per questo, molte delle tue domande non possono avere risposta se non ribaltandone il paradigma.

Io non credo che Renzi sia l’espressione di una politica moderata, né tantomeno conservatrice. E questo al di là delle categorie destra/sinistra. Se è vero che pare avere il consenso dei grandi imprenditori, non è affatto così per i “boiardi” di stato né tantomeno per i leghisti di qualsiasi ora i quali, come è noto, hanno trovato rappresentanza molto più nel M5S e ora stanno ricostruendo con Salvini un partito di destra xenofoba, capace di andare oltre i confini padani (e che sta drenando consenso – lui sì – al M5S).

Quello che sta accadendo è che un Paese arrivato al capolinea  a causa di tantissime ragioni, tra cui una classe politica decisamente inadeguata e incapace di produrre il superamento di se stessa – sta cominciando a rendersi disponibile al cambiamento, consapevole che senza di esso non si salverà nessuno, nemmeno le élite.

Di quale cambiamento parliamo? Quello della realizzazione di un sistema diverso da quello capitalista, in cui tutti gli uomini possono essere liberi e uguali? Chiaramente no. Il modello cui ci si sta ispirando è quello delle democrazie europee, dove pure larga parte della popolazione è in sofferenza per via della crisi economica e delle politiche di austerità, ma dove si vive decisamente meglio che in Italia (per non parlare del resto del mondo).

Questo a causa di alcuni problemi strutturali del nostro Paese: innanzitutto l’alto tasso di corruzione e la grande diffusione della criminalità organizzata; una classe dirigente (non solo politica, ma anche amministrativa e imprenditoriale) incredibilmente vecchia e maschile; un welfare inadeguato ai tempi e familistico; una cultura patriarcale, machista e in parte clericale; un sistema produttivo parcellizzato e incapace di competere sul mercato globale; l’assenza per decenni di politiche industriali; una scarsissima sensibilità civica ed ecologista, che si è abbattuta drammaticamente sul nostro ambiente e il nostro patrimonio storico e paesaggistico; una pubblica amministrazione inefficiente e vissuta dai cittadini come un ostacolo invece che un sostegno; un sistema di formazione che sta producendo uno spaventoso analfabetismo di ritorno e di sicuro non riesce a connettersi con il mercato del lavoro; un’alta borghesia ristretta in un’élite fatta di poche famiglie, con scarso attaccamento alla nazione e, purtroppo, soprattutto scarse capacità imprenditoriali; un sistema di informazione nelle mani di quella stessa élite; un gigantesco, immenso debito pubblico, ormai nelle mani di finanziatori stranieri, capaci di mettere in atto, più o meno consapevolmente, speculazioni che possono mettere sul lastrico le casse statali e le tasche dei cittadini italiani in un battito di ciglia.

Questo solo per citare grossolanamente le questioni più grandi e più note. Senza cambiare questo stato di cose, non c’è alcuna possibilità di veder migliorare le condizioni di vita delle persone: penso che su questo siamo tutti d’accordo. Il problema, naturalmente, è come.

Partirei dal constatare che gli italiani hanno comunque chiarito, col loro voto, a chiunque sia andato, un concetto: chi ha amministrato il Paese negli ultimi vent'anni non è più credibile, a prescindere dalle sue reali personali responsabilità. È un giudizio sommario, in larga parte auto assolutorio per i cittadini che non sono certo esenti da colpe, ma così è, e soprattutto penso che abbia un suo giusto fondamento. Non averlo compreso, quando abbiamo sostenuto la candidatura di Bersani contro quella di Renzi alle primarie per il candidato premier, è stato un grave errore.

E non l’abbiamo capito perché ci rifiutiamo spesso di guardare in faccia la realtà. Così convinti delle nostre idee da continuare a fare proposte politiche che non hanno alcuna possibilità di essere, non dico condivise, ma nemmeno comprese dalla maggior parte dei cittadini, soprattutto quelli delle giovani generazioni.

Da anni sappiamo e riconosciamo che le nostre sedi sono frequentate da pochissime persone e soprattutto da pochissimi giovani; che fare un’iniziativa pubblica è un’impresa per la cui riuscita bisogna attaccarsi al telefono e costringere i militanti ad intervenire; che le discussioni nei nostri organismi dirigenti sono surreali e distanti dalla realtà. Chiaramente ognuno ha individuato il suo colpevole per questo stato di cose e ognuno ha una ricetta da proporre per cambiare, ma da anni non cambia nulla e anzi la situazione peggiora continuamente.

Sono quindi strani questi italiani che invece di appoggiare noi che diciamo di volere il loro bene, scelgono di affidarsi a uno che parla con loro col loro stesso linguaggio? Si risponderà: ma lo facevano anche con Berlusconi. Appunto! Possibile che non abbiamo ancora capito, dopo tutti questi anni, che saper comunicare con le persone, cioè ottenere l’appoggio dell’opinione pubblica (che sarebbe poi il “popolo”), è essenziale? E come è possibile che si incolpi (giustamente, a mio parere) Bersani di aver perso delle elezioni già vinte per incapacità comunicativa oltre che per cedimenti continui rispetto a una linea di rinnovamento e non si riconosca a Renzi di aver saputo intercettare quelle masse di persone, soprattutto under 40, che vedono la politica come un nemico tanto da essere attratti dall'antipolitica populista di Grillo fondata sull'odio, la violenza verbale e scritta (precorritrici di quella fisica), la propaganda che nulla distingue ma individua di volta in volta capri espiatori?

E però, come è possibile che si equipari Renzi a Berlusconi? Ha forse Renzi un mastodontico conflitto di interessi? Ha una grande ricchezza proveniente da attività su cui vi sono ombre di illiceità? È uso a pratiche di dubbia moralità? Svilisce le donne? Si lascia andare a considerazioni sessiste, machiste, razziste, omofobe? Non mi pare. Allora dove sta la somiglianza? In quel piglio decisionista e assolutista, poco rispettoso di quelle forme organizzate intermedie? Questo sì, ma se questo è da 20 anni a questa parte un tratto fondamentale per ottenere consenso dagli italiani, forse quelle forme organizzate qualche domanda dovrebbero porsela. E se oggi contro le riforme istituzionali si levano alti lamenti da parte di coloro che hanno sostenuto esattamente il contrario fino a poco tempo fa, lasciami almeno il diritto di dubitare che dietro a questa “resistenza” ci sia davvero amore per la democrazia, ammesso che tutte le proposte sotto accusa siano davvero un danno per la democrazia (cosa che non penso, ma qui ci vorrebbe un intero trattato).

E si può forse paragonare Renzi a Monti? Davvero il rapporto con la Germania, l’FMI, la UE è lo stesso? Monti è un cultore dell’ideologia liberista. Renzi non lo è. I primi provvedimenti – dalla ristrutturazione delle scuole agli 80 euro – lo dicono chiaramente. Ma qui e ora quali spazi ci sono, quale strategia occorre mettere in campo per poter attuare una politica redistributiva e di investimento pubblico nelle maglie dei trattati europei? Si dice: il problema è proprio che si pone comunque all'interno del sistema, non chiede di modificare i trattati. Alzi la mano chi pensa che Bersani, da premier, avrebbe fatto qualcosa di meglio e di diverso. E poi spieghi come si possa ottenere quella modifica. Perché a chiedere senza alcuna possibilità di successo non ci vuole molto. Cosa che pare sia stata spiegata allo stesso Renzi, che pure quella modifica avrebbe voluto chiedere. Perché un Sindaco o un Presidente di Regione deve rispettare i vincoli anche se non vorrebbe, e il presidente del Consiglio potrebbe non farlo?

Caro Enrico, il punto di fondo è sempre lo stesso: basta enunciare ciò che sarebbe necessario fare senza tenere minimamente conto delle condizioni oggettive per svolgere un ruolo utile in politica? Io penso di no e ti confesso che da quando ho cambiato il mio approccio, essenzialmente snob, nei confronti dei miei amici, dei miei vicini, delle persone in generale, che giudicavo desolanti nella loro incapacità di comprendere la complessità del mondo, nei loro egoismi di benessere per se stessi e la propria famiglia, e ho cominciato a chiedermi “come posso non rinunciare a cambiare le cose partendo dal presupposto che senza il sostegno di queste persone non sarà mai possibile?”, ho ritrovato l’entusiasmo del fare politica. Certo, ho dovuto fare tanti passi indietro, farmi carico di quella che io giudicavo incapacità di comprensione e invece era spesso banale buon senso. Mi ha aiutato in questo percorso la paura, forte, che ho nutrito nei confronti dell’escalation di consenso verso Grillo, periodo in cui mi è parso non fosse più possibile riprendere le fila del discorso con milioni di italiani incattiviti che sembravano volere solo la caduta del sistema. In quel drammatico periodo, la costruzione di un fronte unitario col PD, sia dentro la Camera che fuori, è stato spontaneo e difficilmente compatibile con quella parte del mio partito che invece vedeva nel M5S il principale interlocutore.

All’obiezione che mi si pone per cui Renzi non ha ancora prodotto risultati, rispondo che non è vero. È cambiato tutto il sistema politico, è cambiato il clima, è cambiata una bella fetta di classe dirigente. Siamo solo all'inizio e il rischio che si traduca in un fallimento c’è tutto. Per questo, infatti, trovo ridicole le accuse di essere salita sul carro del vincitore: Renzi non ha vinto nulla se non la possibilità di provarci. Il punto è che io voglio contribuire alla riuscita di questo tentativo, non ostacolarlo.

Non perché penso che darà risposte a tutte le questioni che ci stanno a cuore, ma perché ritengo che senza un cambiamento strutturale del nostro Paese non sarà comunque possibile incidere sul resto. E per poterlo fare, occorrerà sfidare tantissime rendite di posizione, che, una alla volta, verranno allo scoperto. E presto arriveranno momenti difficili.

Momenti difficili che quello che fino a poco tempo fa era il mio partito auspica, scommettendo sul peggioramento delle condizioni economiche, sull'irrigidimento della Merkel, sulla vittoria dei falchi della Bundesbank. E quando quel momento arriverà, finalmente… cosa? C’è qualcuno che può spiegarmi che cosa ci si propone, che cosa si auspica? La rivoluzione? La rivolta sociale? L’emergere di quale leader altermondialista da proporre alla guida del Paese? O sarebbero solo nuove elezioni con una coalizione PD-SEL con un candidato proveniente dalla sinistra, cioè dagli antichi DS immagino, ad assicurare la possibilità di serie politiche keynesiane, ammesso che dopo il fallimento di Renzi esista la minima possibilità di una vittoria del PD? Possiamo parlare di questo? Perché io davvero non ho capito quale sia la proposta.

Grillo e il M5S, con consensi oscillanti tra il 20 e il 25%, vogliono la caduta di Renzi perché vogliono ottenere il 51% e andare a governare loro. Gli italiani non l’hanno ritenuto molto credibile. Il centrodestra non vuole che Renzi cada perché è frantumato e senza una leadership e quindi prende tempo per ricostruirsi. SEL, che oscilla tra il 2% dei sondaggi e il 4% della lista Tsipras (che ancora non si sa se si trasformerà in soggetto politico), vuole la caduta di Renzi per fare che? È dalla nascita del Governo Letta in poi che SEL ignora la profonda evoluzione del campo parlamentare e governativo per chiedere, come un mantra, nuove elezioni. Chi, come me, ha provato a segnalare la necessità di un cambio di passo all'indomani della scissione del PdL e il passaggio all'opposizione di Berlusconi, già allora fu tacciato di essere in vendita. Accusati e derisi: questa è stata la sorte di chi ha provato a proporre una lettura diversa dentro SEL.

Sottolinei che siamo andati via senza spiegare. Sai che non è vero. Certo sarebbe stato bello fare un congresso vero e anche intervenire in un’assemblea congressuale dove, alla maggior parte di noi, non è stata data la parola. Certo abbiamo evitato di inscenare il rito della Pallacorda. Non sarebbe stato difficile riempire una sala e proclamare la scissione, ma a cosa sarebbe servito? Ai militanti forse, ma i cittadini di queste cose non ne possono più. Certo, ai cittadini non piacciono granché neanche i parlamentari che cambiano gruppo: sappiamo bene che pagheremo un prezzo molto alto per questa scelta. Se siamo disposti a pagarlo, mi piacerebbe che qualcuno si chiedesse perché e indagasse un po’ più a fondo del paragone con Razzi e Scilipoti diffuso dai dirigenti del partito su una base che è già drammaticamente influenzata, direi quasi geneticamente modificata, dalla propaganda a cinque stelle. Perché la comunicazione di SEL ha pochissimi canali e per diffondere il suo antirenzismo sfrutta i canali del grillismo, mettendosi in scia. E io temo che questo produrrà brutte sorprese.

Per questioni di spazio non mi dilungherò, infine, sulla vicenda europea. Come sai, da quando ho iniziato a fare attività politica ho avuto un unico riferimento fermo, un’unica casa: il PSE. Se ho accettato di partecipare alla costruzione di SEL dopo la devastante esperienza della Sinistra Arcobaleno, è stato anche perché ci si poneva chiaramente nel solco del PSE. Non eravamo così pochi ad avere questa identità dentro SEL. Chi ha pensato di poterne fare un dettaglio superabile con un blitz in un’assemblea congressuale, l’ha forse sottovalutato. Ho già scritto qui di come penso che quella scelta sia stata tanto frettolosa quanto irreversibile.

Mi limito solo a sottolineare come la rappresentazione di un sostegno a Tsipras che potesse poi convergere su Schulz fosse del tutto fantasiosa, poiché tutti sapevamo perfettamente che l’accordo di tutti (e sottolineo tutti, Tsipras compreso) era che il presidente della Commissione sarebbe stato espresso dal gruppo che avrebbe preso più seggi. Continuare oggi ad attaccare il PSE per l’appoggio a Juncker è ridicolo, così come è ridicolo parlare di grandi intese europee quando l’Europa resta composta da organismi espressione dei Governi nazionali.

Ora tu mi chiedi: cosa farete adesso? Intanto, di sicuro abbiamo recuperato il diritto a stare nella verità. Poter dire pubblicamente ciò che si pensa, votare i provvedimenti sulla base del merito e non del pregiudizio, credimi, è già un grande passo in avanti.

Proveremo a tener viva la nostra cultura politica, come un LED luminoso, appunto. E proveremo a partecipare al cambiamento del Paese, del suo sistema e della sua classe politica, per provare a evitare il declino inesorabile cui l’Italia qualche mese fa appariva condannata. Potrà sembrar strano, ma alla maggior parte delle persone, anche quelle che ci hanno votato, interessa questo. Non siamo così egocentrici da pensare di essere determinanti per nessuna di queste cose, ma fare la propria parte secondo coscienza è il dovere che sento.

Naturalmente, come ti ho detto all'inizio, il presupposto di tutto questo è partire dall'idea che quanto sta avvenendo possa produrre qualcosa di molto positivo. Chi è convinto del contrario, non può in alcun modo, non solo condividere, ma neanche comprendere la nostra scelta. Né io penso che non abbia il diritto di pensarla così anche chi è stato eletto in Parlamento – come i grillini ci ricordano tutti i giorni – grazie all’alleanza col PD, o col PD governa nelle città e nelle regioni. La contraddizione, però, non è la mia.

Spero si possa continuare questo confronto, e intanto ti ringrazio perché anche le modalità di gestione delle “crisi” sono un tratto distintivo per chi vuol fare politica.

Un abbraccio,

Ileana