Perché il SI al referendum rappresenta un passaggio cruciale per il rafforzamento delle politiche sociali

Martedì 11 Ottobre 2016 3466

Qui parlerò soltanto di un aspetto, importantissimo per la vita concreta delle persone e soprattutto di coloro che più si trovano in difficoltà. Sulle politiche sociali dal 2001 hanno piena potestà legislativa le regioni, rimanendo allo Stato solo la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Una scelta contenuta nella riforma del Titolo V, intervenuta pochi mesi dopo la tanto attesa approvazione della legge n. 328 del 2000, finalizzata alla creazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali. All’epoca, fu subito chiaro che l’attribuzione alla potestà esclusiva delle regioni avrebbe finito per svilire l’efficacia della legge 328, vanificando un lavoro complesso e partecipato durato moltissimi anni, e che vi fosse un altissimo rischio di dare vita a 21 sistemi di welfare regionali diversi tra loro, portando a una inaccettabile disparità nella tutela dei diritti e nell’accesso alle prestazioni. Timori che si sono dimostrati fondati. Se infatti, per fortuna, alcuni elementi della legge 328 (formazione degli Ambiti territoriali, programmazione attraverso i Piani di Zona) sono stati recepiti ovunque, in ogni regione si è poi sviluppato un sistema di servizi sociali peculiare: alcune sono riuscite a conseguire un sistema efficiente e all’avanguardia, altre scontano gravi ritardi e inefficienze. Un chiaro indicatore è la spesa pro-capite per le politiche sociali, che varia dai 277 euro della Valle d’Aosta ai 25 euro della Calabria, una disparità che non può derivare solo dalla differente ricchezza del tessuto socioeconomico delle varie zone. Ci sono evidentemente scelte politiche e difficoltà gestionali che vengono scaricate sui cittadini. Intervenire per provare a cambiare questo stato di cose è doveroso. La riforma costituzionale attribuisce allo Stato la competenza normativa sulle disposizioni generali e comuni in tema di politiche sociali. Quindi se la riforma verrà approvata dal referendum del prossimo 4 dicembre, la potestà dello Stato non sarà più limitata ai livelli essenziali delle prestazioni (per la cui definizione, peraltro, ben conosciamo le difficoltà), ma interesserà anche forme e mezzi idonei a dotare il Paese di un sistema di interventi e servizi sociali più uniforme ed efficiente. Lo scopo, si badi, non è quello di ledere l’autonomia delle singole regioni, danneggiando le regioni virtuose che hanno dato vita a sistemi di eccellenza, ma quello di permettere un ruolo di coordinamento dello Stato non invasivo, volto a supportare ed affiancare le realtà territoriali impedendo che l’autonomia regionale possa tradursi in costi sociali a carico dei cittadini. Un esempio su tutti: nel tema centrale della lotta alla povertà, la possibilità che si riesca a dotare il nostro Paese di una misura nazionale di sostegno al reddito e di inclusione attiva, quale il Reddito di Inclusione già approvato alla Camera ed ora in discussione al Senato, dipende sicuramente dalle risorse stanziate dallo Stato, ma anche dalla capacità di dotare tutto il territorio nazionale di servizi sociali solidi, efficienti ed accoglienti e dalla possibilità di coordinare interventi statali e interventi regionali. In questo processo, peraltro, sarà importante anche il nuovo ruolo che assumerà il Senato. La riforma costituzionale, dunque, rappresenta un passo fondamentale per riprendere quel percorso di cambiamento del nostro sistema di welfare interrotto bruscamente nel 2001 dai governi di centrodestra, la cui volontà di abbandonare la strada tracciata dalla legge 328 per tornare a una visione residuale delle politiche sociali fu di fatto agevolata dalla riforma del Titolo V. In questa legislatura abbiamo fortemente voluto riprendere quel percorso e la riforma costituzionale è l’occasione per consolidarlo e rafforzarlo. Non perdiamola!