Vogliamo dare alle persone disabili e alle loro famiglie la possibilità di progettare il loro futuro

Martedì 2 Febbraio 2016 3311

Signor Presidente, Signora Sottosegretaria, Onorevoli Colleghi,

in questi giorni il Parlamento e l’opinione pubblica sono fortemente impegnati nel dibattito sui diritti civili, una discussione che pone finalmente al centro la necessità che la politica si occupi del cambiamento della società, della sua cultura e della sua organizzazione.

Sarebbe bene che anche per gli altri temi si ragionasse sempre a partire dalla fotografia della realtà, dando alle statistiche e agli studi sui cambiamenti sociali – che avvengono il più delle volte a prescindere dalle scelte politiche – la giusta centralità.

Se ci atteniamo a questo metodo, nella discussione sul tema della disabilità dobbiamo partire necessariamente dal forte ritardo del nostro paese verso una riforma del welfare che tenga conto dell’attuale struttura sociale e delle esigenze di cura e benessere molto diverse rispetto a qualche decennio fa.

Il modello di welfare italiano, incentrato sulla delega alle famiglie, è in profonda crisi, ora che i mutamenti sociali e demografici hanno stravolto i rapporti di cura che legavano in un circuito virtuoso di reciproca assistenza nonni, figli e nipoti.

Se questo vale per tutte le famiglie, ancor più riguarda le famiglie che hanno al loro interno persone con disabilità gravi, per le quali oltre alla fatica quotidiana si aggiunge l’angoscia per il futuro, dal momento in cui coloro che danno cura e assistenza non ci saranno più.

Questa proposta di legge nasce dalla volontà di dare una risposta a questa angoscia, e spostare le preoccupazioni del “dopo”, dalla famiglia all’intero contesto sociale; è la collettività tutta che deve farsi carico dei diritti delle persone disabili e trovare delle risposte adeguate.

Ed è tanto più necessaria e urgente in quanto il progresso medico e tecnologico ha fatto sì che la vita delle persone con disabilità anche grave si sia allungata di molto, e che molte opportunità sconosciute si aprano alla possibilità di vita autonoma anche per chi è costretto alla non autosufficienza da handicap di grande impatto.

La proposta non nasce nel chiuso delle aule parlamentari: raccoglie e fa tesoro delle buone prassi, delle tante esperienze che si sono organizzate negli anni sul territorio, grazie al lavoro e alla creatività di straordinari operatori e imprenditori sociali e al coraggio e all’intraprendenza di molti genitori.

Grazie alla collaborazione fra ente pubblico e privato, genitori, risparmi di privati, finanziamenti pubblici e del terzo settore sono state realizzate tantissime iniziative che possono vantare ottimi risultati. Sarebbe bene conoscere approfonditamente questi dati di realtà, invece di dipingere qualsiasi iniziativa come finalizzata al lucro senza scrupoli.

Le comunità, le fondazioni, le case famiglia, le comunità alloggio sono esperienze che nascono dalla conoscenza diretta delle esigenze dei disabili e delle loro famiglie, ed hanno come obiettivo quello di consentire il più possibile la realizzazione di percorsi di vita autonoma e/o assistita con la massima cura.

Una cura che mette al centro i bisogni affettivi e di socializzazione delle persone con disabilità, prima ancora di quelli sanitari. Esattamente il contrario, dunque, del pericolo ventilato da alcune opposizioni che questa legge possa favorire l’istituzionalizzazione in strutture di stampo sanitario. Anzi, alla base del provvedimento c’è proprio la volontà di uscire dalla logica emergenziale che costringe a scelte di istituzionalizzazione nel momento della scomparsa dei genitori o nel momento del venir meno delle loro possibilità di cura.

E ancor più importante, si badi, si parte dall’idea di un percorso centrato sul progetto individuale che deve iniziare dalla progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori. Il “durante noi”, quindi, che significa passare dalla logica della situazione di emergenza a quella del diritto di tutti ad avere una casa, in cui poter esprimere il proprio modo di vivere e la propria individualità di cittadino adulto. Una casa intesa come sistemazione abitativa adeguata, stabile, consona alla aspirazioni, che realizzi anche la possibilità di emanciparsi dalla famiglia di origine, come è naturale per ciascuno di noi.

Noi vogliamo dare alle famiglie e alle persone con disabilità la possibilità di progettare il proprio futuro, mettendo a disposizione strumenti e risorse che non vogliono certo imporre un percorso standard (altrimenti che libertà di scelta ci potrebbe essere?) ma tanti possibili percorsi tra cui scegliere quello più rispondente alle esigenze e alle preferenze della famiglia.

Non mi convince poi l’idea, avanzata da alcuni, che non ci sarebbe bisogno di questa legge, perché sarebbe bastato garantire alle persone con disabilità quanto già previsto dalla normativa esistente. Troppo spesso alle persone con disabilità vengono assicurate attività e iniziative per riempire il tempo, senza un progetto di futuro.

Questa proposta di legge riconosce che le persone con disabilità grave crescono, concludono i loro percorsi educativi, e hanno diritto a spazi tipici della vita adulta. È un cambio di paradigma fondamentale, e costringe ad uscire dalla logica dei progetti finanziati per un lasso limitato di tempo, per concentrarsi su progetti di vita a lungo termine.

Non è un percorso semplice: le famiglie sentono il peso della cura, ma contemporaneamente sono schiacciate dalla paura di affidare il figlio disabile ad altri.

È molto difficile il percorso di crescita e autonomia del figlio disabile, e questa difficoltà spesso comporta la permanenza del disabile nel nucleo familiare anche quando non sarebbe strettamente necessario. La disabilità, anche a causa dello stigma sociale di cui la nostra cultura è ancora troppo permeata, produce isolamento e solitudine per la persona disabile e la sua famiglia. L’importanza di questa legge, dunque, sta anche nel favorire ed abituare le famiglie alla cooperazione e ad uscire dall’isolamento.

Perché, naturalmente, la questione del dopo per un genitore non è tanto sul dove vivrà il figlio disabile, ma è sul chi si occuperà di lui. È la necessità che la funzione di sostegno, per tutte le cose che il figlio non riesce a fare da solo, sia assicurata da qualcun altro, in cui si possa riporre fiducia.

Per questo ritengo un elemento fondamentale della legge gli incentivi all’istituto giuridico del trust, accompagnati da condizioni molto precise a tutela del disabile e di coloro che intendono avvalersi di questo strumento per garantire il rispetto delle proprie volontà anche dopo la propria scomparsa. Il trust è un bene vincolato, con un corollario di regole e indicazioni a cui la persona affidataria, il trustee, dovrà rigorosamente attenersi. Desideri e progetti dei genitori diventano legge, e le violazioni saranno perseguibili davanti al giudice. E anche qui, una scelta che va fatta “durante noi”, quando i genitori sono nelle condizioni di pensare e progettare il futuro del figlio disabile.

Infine, un cenno a un’altra importante previsione della legge, cioè l’aumento del tetto di detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave. Chi straparla di favore alle lobby e alle compagnie di assicurazioni, dimostra di non avere nessuna conoscenza della struttura del welfare degli altri paesi europei, quelli, per intenderci, dove la protezione sociale è molto più elevata che nel nostro paese. La diffusione di coperture assicurative specifiche, infatti, non va di pari passo a una riduzione del welfare. Accompagna, anzi, lo sviluppo della civiltà in direzione di un’attenzione verso i disabili molto maggiore rispetto al passato, oltre che all’allungamento della vita media degli stessi di cui ho parlato prima, che porta le famiglie a cercare tutti gli strumenti possibili per assicurare una vita dignitosa ai propri figli con disabilità anche dopo la loro morte.

L’incentivo previsto dalla legge sostiene le famiglie che possono permetterselo in scelte utili ad assicurare una maggiore tranquillità e maggiori garanzie per la vita futura dei figli disabili, senza che questo venga considerato l’unica via perseguibile dalle famiglie.

Polemiche quindi del tutto fuori luogo, che sono certa non riusciranno davvero a oscurare il grande risultato di una legge attesa da tantissimi anni e che inciderà direttamente e concretamente nella vita di migliaia di famiglie. Forte è la volontà del Partito Democratico e del Premier Matteo Renzi affinché il 2016 sia l’anno dei diritti. Diritti che non hanno bisogno di retorica, ma di leggi e pratiche che li promuovano e li proteggano. Hanno bisogno di politiche concrete e dallo sguardo profondo, come questa proposta di legge una volta approvata, sono certa, dimostrerà sul campo di saper fare.