"I due maghrebini, la cui condizione è monitorata costantemente con preoccupazione dagli operatori del centro - afferma Gabriella a margine della visita -, hanno intrapreso questa forma autolesionista di sciopero della fame con la disperata determinazione di chi non sa perché si trova rinchiuso in un Cie, né quando e se potrà uscirne. Protestano perché non capiscono la ragione del loro trattenimento che pare non avere mai fine".
E' inaccettabile come i tempi di permanenza nei Cie stiano diventando sempre più lunghi, in attesa di identificazioni che molto spesso non arriveranno mai, costringendo persone che non hanno commesso alcun reato oppure hanno già scontato la loro pena, alla prigionia in strutture che non sono pensate per una permanenza lunga e che quindi risultano essere totalmente alienanti. Ciò che colpisce dei racconti di questi ragazzi è la totale soggezione al caso: la loro possibilità di avere accesso a una speranza di vita migliore, è in larga parte dovuta alla casualità e alla discrezionalità di molte figure professionali (operatori, avvocati, giudici) che incontrano in un percorso infinito. Tutto ciò non è degno di un paese civile, per questo occorre ribadire con fermezza la necessità di chiudere i Cie e di ripensare al più presto le politiche riguardo i migranti. In ogni caso, la riduzione del tempo di permanenza è un atto non più rinviabile e ci appelliamo al Governo e al Parlamento tutto perché si proceda in tempi rapidissimi.