- Come cambierà concretamente il Parlamento Italiano?
- Chi elegge e come si compone il nuovo Senato?
- Le due Camere si occuperanno di cose diverse?
- Il “bicameralismo differenziato” minaccia in qualche modo la democrazia?
- La Riforma comporta un risparmio e uno snellimento burocratico?
- La Riforma Costituzionale limita la partecipazione popolare?
- Come cambiano le competenze delle Regioni?
- Migliorano la trasparenza e l’efficienza amministrativa?
- Il Governo eserciterà un potere autoritario sugli Enti locali e sul Parlamento?
- Come cambia il welfare con la Riforma Costituzionale?
- La Riforma è stata votata con un colpo di mano del Governo?
Come cambierà concretamente il Parlamento Italiano?
Il punto centrale della riforma è la fine del cosiddetto bicameralismo perfetto, il quale prevede identici compiti per Camera e Senato.
L’esigenza di procedere al superamento del bicameralismo perfetto (o paritario) fu avvertita già alla stesura della nostra Costituzione da molti dei Padri costituenti, che consideravano il bicameralismo paritario un compromesso tra le maggiori forze politiche dell’immediato dopoguerra e da tempo, nelle diverse sedi istituzionali, è oggetto di attenta riflessione parlamentare, anche tenendo conto del fatto che l’Italia costituisce ormai quasi un unicum nel panorama dei paesi dell’Unione Europea.
Analizzando il dibattito sulle riforme dall'inizio degli anni ‘80 ad oggi, l’esigenza di superare il bicameralismo paritario, individuando nel Senato una istanza di rappresentanza territoriale, costituisce uno degli elementi di convergenza e di continuità, pur nell'ambito delle soluzioni prospettate nei diversi progetti di riforma costituzionale.
La riforma prevede quindi che la Camera e il Senato debbano avere composizione e ruoli diversi. Alla Camera dei Deputati - che “rappresenta la Nazione” e di cui è immodificata la composizione - spetta la titolarità del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del Governo. Diversamente, al Senato della Repubblica è attribuita una funzione di rappresentanza degli enti territoriali nonché di raccordo tra l’Unione europea, lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Cambiano quindi le modalità di elezione e composizione del Senato, del quale faranno parte 100 componenti, di cui 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica (i quali però non resteranno più in carica a vita, ma 7 anni).
Chi elegge e come si compone il nuovo Senato?
I 95 senatori rappresentanti delle istituzioni territoriali saranno eletti dai Consigli regionali e dai Consigli delle Provincie autonome di Trento e Bolzano con metodo proporzionale, tra i propri componenti e tra i sindaci dei rispettivi territori, nella misura di uno per ciascuno. La proporzionalità dell’elezione, che sarà dunque di secondo grado, è legata alla composizione del Consiglio. Ciascun Consiglio elegge un numero di senatori in proporzione alla popolazione della Regione quale risulta all'ultimo censimento.
La composizione intera del Senato sarà dunque così ripartita:
- 95 senatori eletti dai Consigli regionali, di cui:
- 74 eletti tra i membri dei consigli;
- 21 eletti tra i Sindaci dei rispettivi territori.
- 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica per la durata di 7 anni, tra i quali vanno aggiunti i senatori a vita già nominati e in carica al momento dell’entrata in vigore della legge.
Ad essi andranno aggiunti gli ex Presidenti della Repubblica in qualità di senatori a vita.
Ogni Regione non potrà avere un numero di senatori inferiore a 2 e le Provincie autonome di Trento e Bolzano ne avranno 2, in modo che ciascuna Regione e Provincia autonoma possa eleggere almeno un senatore-sindaco e un senatore-consigliere regionale (ad esempio, secondo il censimento 2011, alla Lombardia spetterebbero 13 consiglieri regionali e un sindaco, al Molise un sindaco e un consigliere regionale). Dunque, il numero di 95 senatori elettivi potrebbe variare, per un periodo eventualmente limitato, quando, in base all'ultimo censimento, il numero di senatori spettanti ad una Regione risulti diverso da quello sancito dal censimento precedente.
La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti. In caso di scioglimento del Consiglio regionale, il senatore-sindaco resta dunque in carica fino alla cessazione del relativo mandato locale. Di conseguenza, il Senato non potrà essere oggetto di scioglimento e si configurerà come organo a rinnovo parziale continuo, in base alla scadenza dei mandati territoriali dei componenti.
Le due Camere si occuperanno di cose diverse?
Sì, nella maggior parte dei casi. Sarà infatti differente la partecipazione delle due Camere alla funzione legislativa, finora svolta su base paritaria. Restano immutate le competenze dei due rami del Parlamento solo per alcune determinate categorie di leggi, espressamente indicate dalla Costituzione, che saranno quindi ad approvazione “bicamerale paritaria”. In tutti gli altri casi viene attribuita una prevalenza alla Camera dei Deputati, presso la quale saranno presentati, in via residuale, tutti i progetti di legge.
È previsto il procedimento bicamerale paritario - cioè attraverso il quale le due Camere esercitano collettivamente e con gli stessi poteri la funzione legislativa - per le seguenti tipologie di leggi:
- Revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali;
- Attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche;
- Attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di referendum popolare;
- Leggi in materia di ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane e disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni;
- Leggi che stabiliscono i principi fondamentali sul sistema di elezione dei Consigli regionali e sui casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali. Leggi che stabiliscono altresì la durata degli organi elettivi regionali e i relativi emolumenti;
- Legge sull'elezione dei membri del Senato;
- Autorizzazione alla ratifica dei trattati relativi all'appartenenza dell’Italia all'Unione Europea;
- Leggi che attribuiscono alle regioni ordinarie ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Al Senato è affidata la formulazione di proposte di modifiche che saranno poi esaminate dalla Camera, la quale potrà discostarsene con una maggioranza che muta a seconda delle materie dell’intervento legislativo, con particolare riguardo a quelle riconducibili ad ambiti di competenza delle autonomie territoriali. Il Senato può altresì richiedere alla Camera, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, di procedere all’esame di un progetto di legge. Resta inoltre inalterato il potere di iniziativa legislativa dei senatori
Al Senato sono espressamente attribuite una serie di funzioni, tra le quali:
- la partecipazione alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi dell'Ue;
- il concorso alla valutazione dell’attività delle pubbliche amministrazioni e alla verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato;
- il concorso alla valutazione delle politiche pubbliche;
- il concorso all'espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge.
Il Senato esercita le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l’Unione europea. Al Senato è inoltre espressamente attribuita la facoltà di svolgere attività conoscitive nonché di formulare osservazioni su atti o documenti all’esame dell’altro ramo del Parlamento. Spetta sempre al Senato l’espressione del parere sul decreto del Presidente della Repubblica con cui sono disposti lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della giunta (competenza attualmente attribuita dalla Costituzione alla Commissione parlamentare per le questioni regionali).
Alla Camera è attribuita la competenza ad assumere la deliberazione dello stato di guerra e ad adottare la legge che concede l’amnistia e l’indulto. La Camera è inoltre competente ad autorizzare la ratifica dei trattati internazionali, ad eccezione di quelli relativi all'appartenenza dell’Italia all'Ue.
Il potere di istituire Commissioni di inchiesta viene mantenuto sia alla Camera sia al Senato, ma limitato per quest’ultimo a inchieste su materie “concernenti le autonomie territoriali”. Al contempo, viene mantenuta ferma la previsione costituzionale che attribuisce al Parlamento in seduta comune l’elezione dei cinque giudici della Corte costituzionale di nomina parlamentare.
Resta ferma l’attribuzione al Parlamento in seduta comune dell'elezione del Presidente della Repubblica, ma non è più prevista la partecipazione all'elezione dei delegati regionali, alla luce della nuova composizione del Senato. Inoltre, per l’elezione del Capo di Stato, il quorum si abbasserà non più come oggi dai 2/3 dei primi tre scrutini alla maggioranza assoluta dal IV in poi, ma dai 2/3 ai 3/5 di tutti gli aventi diritto dal IV scrutinio in poi e dei 3/5 dei votanti presenti dal VII scrutinio in poi. Infine, nel caso in cui il Presidente della Repubblica non possa adempiere alle proprie funzioni, la supplenza spetterà al Presidente della Camera e non più, come oggi, al Presidente del Senato.
Il “bicameralismo differenziato” minaccia in qualche modo la democrazia?
Naturalmente no. La nuova architettura istituzionale prevede che i Deputati rappresentano la Nazione, mentre i Senatori rappresentano le Istituzioni territoriali. Questo dibattito risale ai tempi dell’Assemblea Costituente, dove era stata avanzata da molti membri l’ipotesi di una Camera della Regioni: “Credo che si può - senza affermare un concetto federalistico, con cui questa Assemblea non è d'accordo - affermare un altro concetto, che è un chiarimento, dicendo per esempio: I Senatori rappresentano le Regioni nell'ambito dell’unità nazionale” (Emilio Lussu, intervento in Assemblea Costituente, seduta plenaria, del 7 ottobre 1947).
Se si guarda oggi alle esperienze dei Paesi europei con sistemi bicamerali, e di moltissime altre nazioni occidentali, si nota come il bicameralismo differenziato sia quasi la norma, in particolar modo per quanto riguarda la tipicità della “Camera alta” (il Senato) come Camera della rappresentanza territoriale, a elezione indiretta e con ruoli assai diversi dalla “Camera bassa”. In Spagna, Belgio, Olanda, Germania o Austria, le camere alte sono tutte di rappresentanza territoriale. In Belgio addirittura i senatori sono in parte eletti in secondo grado e in parte in terzo grado, in quanto alcuni membri sono ‘cooptati’ dai primi. In uno stato fortemente centralizzato come la Francia, il Senato, che è elettivo di secondo grado e sottoposto a un rinnovo parziale, è eletto in ogni dipartimento da un collegio di “grandi elettori” composto da deputati, consiglieri regionali, consiglieri dipartimentali e delegati di consigli municipali. Ovviamente nessuno in Belgio o in Francia mette in discussione la democraticità di tale sistema, il quale anzi garantisce forte rappresentatività al popolo su due livelli distinti, a livello unitario nazionale e sul piano delle comunità locali.
Ad ulteriore conferma della tutela democratica espressa dalla riforma, vengono inserite chiare disposizioni che attribuiscono ai regolamenti parlamentari l’obbligo di garantire i diritti delle minoranze parlamentari, nonché di garantire la parità di genere nelle due camere: disposizioni prima assenti nel testo costituzionale.
La Riforma comporta un risparmio e uno snellimento burocratico?
Sì. Non solo perché il numero di senatori scende da 315 a 100, determinando un taglio ai costi della macchina statale significativo e ragionevole, ma anche perché i nuovi senatori non ricevono alcuna indennità o stipendio aggiuntivo per il ruolo svolto. Di fatto la riforma limita il compenso dell’indennità parlamentare ai soli membri della Camera dei deputati, mentre il trattamento economico dei senatori-sindaci e dei senatori-consiglieri regionali resta solo quello della carica territoriale che rivestono. Tra l’altro, l’eliminazione dell’elezione di primo grado dei senatori comporterà un risparmio oggettivo in termini di spese elettorali. Viene oltretutto inserito nel testo costituzionale un limite agli emolumenti dei membri degli organi elettivi regionali (dai quali dunque provengono anche i Senatori), i quali non possono in nessun modo superare i compensi dei Sindaci dei Comuni capoluogo di Regione.
La riforma snellisce la macchina statale anche predisponendo l’eliminazione del CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) come organo di rilevanza costituzionale, organo che peraltro era già stato riformato in passato con una significativa riduzione dei suoi componenti. La ragione della soppressione del CNEL sta nel fatto che tale organo ha prodotto un numero ridotto di iniziative parlamentari e non appare oggi più rispondente alle esigenze di raccordo con le categorie economiche e sociali che in origine ne avevano giustificato l'istituzione. Viene infine predisposta, nel testo costituzionale, l’abrogazione delle Provincie, mentre attraverso una disposizione finale viene introdotto il riferimento all’ente di “area vasta” con particolare riguardo alle Città metropolitane che ereditano le funzioni di alcune Provincie.
La Riforma Costituzionale limita la partecipazione popolare?
L’elezione indiretta del Senato certamente cancella quello che precedentemente era un passaggio elettorale, fermo restando che i membri del Senato restano comunque figure politiche votate dal corpo elettorale tramite l’elezione dei Consiglieri regionali e l’elezione diretta dei Sindaci. La riforma, però, prevede una serie di aggiornamenti nel testo costituzionale per quanto riguarda le forme di democrazia partecipata, cioè per quanto riguarda l’iniziativa legislativa popolare. Da una parte, viene elevato da 50 mila a 150 mila il numero di firme necessario per la presentazione di un progetto di legge (anche in base all’incremento demografico) e, dall’altra, viene introdotto il principio che ne deve essere garantito l’esame e la deliberazione finale. Questo perché l’istituto dell’iniziativa legislativa popolare ha avuto una ridotta incidenza nell’esperienza costituzionale italiana, sia perché ad esso non si è fatto frequente ricorso da parte del corpo elettorale, sia perché i progetti di legge presentati hanno avuto seguito in Parlamento in un numero limitato di casi. Inoltre, vengono introdotti nell’ordinamento due nuovi tipi di referendum: il referendum propositivo e quello d’indirizzo. La disposizione, come indicato esplicitamente, è finalizzata a favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche. Per quanto riguarda in particolare il referendum propositivo, si tratta di un istituto nuovo per l’esperienza costituzionale italiana, benché già previsto da alcune Regioni. Viene infine introdotto un diverso quorum per la validità del referendum abrogativo: si mantiene la possibilità per 500.000 elettori di richiedere il referendum, lasciando invariato l’attuale quorum di validità, ossia la maggioranza degli aventi diritto al voto, e al contempo si prevede, in caso di richiesta da parte di 800.000 elettori, un abbassamento del quorum portandolo alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni alla Camera.
Come cambiano le competenze delle Regioni?
Il decreto riscrive ampiamente l’articolo 117 della Costituzione, in tema di riparto di competenza legislativa e regolamentare tra Stato e Regioni. L’elenco delle materie è ampiamente modificato, con una redistribuzione tra competenza esclusiva statale e competenza regionale. Fin dall'approvazione nel 2001 della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, il problema principale è stato quello di una chiara individuazione del contenuto delle materie, al fine di determinare una netta linea di demarcazione tra competenza statale e competenza regionale. Nonostante siano oramai trascorsi tredici anni dalla riforma, l’attribuzione di una disciplina normativa alla sfera di competenze dello Stato o delle Regioni non sempre si fonda su criteri definiti, dando luogo ad una serie di interferenze e sovrapposizioni fra i diversi ambiti tali da renderne incerta l’interpretazione. Ne deriva che, per determinare i confini tra attribuzioni statali e regionali, bisogna spesso attendere l'intervento della Corte costituzionale, le cui decisioni, per loro stessa natura, soffrono del forte limite della riferibilità a singole e specifiche disposizioni. Le modifiche apportate dal decreto all’elenco delle competenze intervengono finalmente su questo assetto per sbrogliare le forti incertezze interpretative ed applicative.
Una delle principali novità del nuovo riparto di competenze legislative consiste nella soppressione della competenza concorrente tra Stato e Regioni. In base all’art. 117 attualmente vigente, nelle materie di competenza “concorrente” spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato, ma questo comporta in ambito costituzionale una serie di difficoltà interpretative. Così, nel nuovo articolo 117, la maggior parte delle materie attualmente di competenza concorrente sono in massima parte attribuite all’esclusiva competenza statale: coordinamento di finanza pubblica e sistema tributario, previdenza complementare e integrativa, commercio con l’estero, ordinamento sportivo, ordinamento delle professioni, protezione civile, produzione e trasporto nazionale dell’energia ecc. Mentre per alcune altre materie specifiche, attualmente sempre di competenza concorrente, la competenza esclusiva statale convive in diverso modo con competenze regionali (salute, sicurezza alimentare ecc.)
Le Regioni a statuto speciale risultano escluse dall'applicazione del nuovo riparto di competenze.
Il nuovo quarto comma dell’articolo 117 della Costituzione introduce una clausola di supremazia, che consente alla legge statale, su proposta del Governo, di intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, e quindi in ambiti di competenza regionale, quando lo richieda:
- la “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica”;
- la “tutela dell’interesse nazionale”.
La nozione di “tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica” è già prevista nell'attuale testo costituzionale dall'articolo 120, secondo comma, tra i presupposti che giustificano l’esercizio in via straordinaria del potere sostitutivo del Governo nei confronti degli organi delle regioni e degli enti locali.
Occorre sottolineare come, nei fatti, tale clausola sia già stata introdotta nel nostro ordinamento in via giurisprudenziale, dapprima con la c.d. “chiamata in sussidiarietà” (sent. Corte Cost. n. 303/2003), poi con la lettura sconfinata delle c.d. “materie trasversali” come la tutela della concorrenza, l’ordinamento civile e il coordinamento della finanza pubblica. L’introduzione espressa della “clausola di supremazia”, peraltro sottoposta al vincolo procedimentale della proposta legislativa governativa, ha dunque la funzione di rendere flessibile il sistema delle competenze, salvaguardando gli interessi di fondo che lo Stato deve sempre tutelare, come avviene in altre esperienze ancora più marcatamente federali come quella americana, quella tedesca e quella canadese.
Migliorano la trasparenza e l’efficienza amministrativa?
Nel modificare l’articolo 118 del testo costituzionale, il decreto aggiunge una disposizione che fa riferimento alle modalità di esercizio delle funzioni amministrative, mentre il testo vigente disciplina solo l’attribuzione delle funzioni amministrative. Nello specifico, viene stabilito che le funzioni amministrative sono esercitate “in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori”. Con tale previsione vengono elevati a rango costituzionale alcuni principi generali dell’attività amministrativa, andando così ad investire le modalità di esercizio delle funzioni amministrative tout court, cioè l’azione amministrativa di tutti i livelli di governo (Stato, Regioni, Città metropolitane, Comuni).
Il Governo eserciterà un potere autoritario sugli Enti locali e sul Parlamento?
No, anzi, con il superamento del bicameralismo perfetto sia gli enti locali che l’assemblea legislativa avranno strumenti di controllo e di autonomia maggiori rispetto a prima. Con il nuovo Senato gli enti territoriali saranno rappresentati direttamente nelle istituzioni dello Stato attraverso i loro stessi membri, mentre con l’incremento delle competenze della Camera dei deputati il Parlamento assume poteri che non aveva in precedenza. Basti pensare alla modifica della disciplina del cosiddetto potere sostitutivo del Governo, che dovrà prevedere il “parere preventivo del Senato” prima di poter essere messo in atto, mentre prima non era sottoposto ad alcun vincolo da parte di uno dei rami del Parlamento o di altre istituzioni. Infine, viene inserito per la prima volta in Costituzione il preventivo controllo di costituzionalità delle leggi elettorali (che restano leggi ordinarie). Quest’ultimo potrà essere chiesto da un quarto dei deputati nell’immediatezza dell’approvazione della nuova legge. Inoltre, novità introdotta alla Camera con un emendamento Pd, si estende il controllo di costituzionalità non solo alle leggi future ma anche alle vigenti purché richiesto entro 10 giorni dall'approvazione della riforma.
Come cambia il welfare con la Riforma Costituzionale?
Con l’approvazione di un emendamento alla Camera divengono competenza esclusiva dello Stato non solo le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, ma anche quelle per le politiche sociali.
Nel nuovo articolo 117, l’ambito materiale concernente la salute è articolato nel modo seguente:
- le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute spettano alla competenza esclusiva statale;
- la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari è ascritta alla competenza regionale.
Il riferimento alle “disposizioni generali e comuni” in luogo dei “principi fondamentali” per la tutela della salute, significherà affidare alla legislazione statale la disciplina comune, uniforme sul territorio, anche se di dettaglio. Inoltre, la riforma attribuisce nuovamente allo Stato la facoltà di adottare regolamenti anche in materia di tutela della salute, sebbene limitatamente alle disposizioni generali e comuni. Questo significa che potranno nuovamente essere utilizzati, ad esempio, strumenti quali gli atti di indirizzo e coordinamento in materia sanitaria che erano stati eliminati con la vecchia riforma del Titolo V. E’ da considerare, infine, il ruolo che sarà attribuito nella nuova articolazione delle competenze alla Conferenza Stato-Regioni (che nel sistema vigente ha un ruolo rilevante nel raccordo delle competenze tra Stato e Regione in materia sanitaria) soprattutto negli ambiti di tutela della salute che non ricadono nella programmazione e organizzazione dei servizi sanitari.
Per quanto riguarda le politiche sociali, nell'attuale sistema di riparto delle competenze, esse sono attribuite alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni. Grazie alla modifica introdotta alla Camera, le disposizioni generali in materia di politiche sociali divengono di competenza statale (accanto alle politiche sanitarie) mentre restano alle Regioni l’organizzazione e la programmazione dei servizi. Una formula più chiara che potrà dipanare il caos interpretativo che si generava tra i livelli essenziali di assistenza (LEA) di competenza statale, e le competenze complessive delle Regioni in materia di politiche sociali. Lo Stato fornirà dunque indicazioni normative alle quali le Regioni dovranno attenersi, col risultato che non potranno più verificarsi discrepanze tra Regioni virtuose ed altre meno ricettive nel campo dell’erogazione dei servizi sociali.
Una modifica di sostanziale importanza, che recepisce il dibattito e le indicazioni fornite come Commissione Affari Sociali, in quanto in molte situazioni (basti pensare alla disabilità o alla non autosufficienza) è evidente la necessità di una programmazione degli interventi unitaria, che non riguardi solo il profilo della sanità, ma quello complessivo socio-sanitario. Un cambio di rotta nelle politiche sociali che potrà facilitare il consolidamento di una “infrastruttura normativa”, che delinei un quadro chiaro di interventi socio sanitari da realizzare in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.
La Riforma è stata votata con un colpo di mano del Governo?
Assolutamente no. Ferme restando le diverse considerazioni politiche sui motivi e sulle opportunità di alcune forze di opposizione di uscire dall’Aula al momento della votazione finale sulle riforme costituzionali, la suddetta votazione si è svolta senza alcuna presunta irregolarità giuridica, né tantomeno costituzionale. Non è infatti stata violata alcuna delle regole stabilite dalla Costituzione (in particolare l'articolo 138), né i Regolamenti parlamentari (art. 97/100 Reg. Camera e artt. 121/124 Senato) o la legge sui referendum n. 352/1970. Innanzitutto, il Parlamento deve votare un testo identico per quattro volte. Di norma, dunque, finché non si raggiunge un testo identico tra i due rami del Parlamento, si fa la spola tra una camera e l'altra, ogni volta limitandosi alle sole parti cambiate. Quindi ora tocca al Senato che interverrà solo sul 10% del testo modificato dalla Camera. Nelle due letture si vota a maggioranza semplice, come se si trattasse di una legge ordinaria. Di conseguenza non ha alcun senso giuridico contestare il fatto che la riforma sia stata approvata con meno voti favorevoli della maggioranza assoluta, dato che essa non è richiesta. Le ultime due letture sono senza emendamenti, si tratta di dire sì o no al testo nel suo complesso. Se vi è una maggioranza di 2/3 dei componenti tutto si chiude lì. Se c'è la maggioranza assoluta dei componenti (316 deputati, 161 senatori) può essere indetto un referendum, in quanto richiesto da 1/5 dei deputati, 1/5 dei senatori, 500 mila elettori e 5 consigli regionali senza nessun'altra limitazione di collocazione o di motivazione. Quindi può essere richiesto sia da parte di chi si oppone alla riforma, per bloccarla, sia da chi è favorevole perché ritiene opportuno che vi sia anche un passaggio popolare. In questo caso, il Governo e il Pd avevano già da tempo assicurato il vaglio della riforma tramite referendum popolare, a prescindere dalla maggioranza ottenuta in Parlamento. Insomma, l’ultima parola sarà degli elettori, la presenza o meno delle opposizioni in Aula non avrebbe potuto cambiare nemmeno questo aspetto.