- Una nuova legge elettorale rappresenta o no una priorità per il Paese?
- Cosa prevede esattamente l'Italicum?
- Cosa è cambiato rispetto alla prima versione votata dalla Camera il 12 marzo 2014?
- È una legge fatta senza il coinvolgimento delle opposizioni?
- Perché Renzi insiste tanto nella sua approvazione?
- Le accuse di incostituzionalità sono fondate?
- Le accuse di introduzione surrettizia di presidenzialismo senza contrappesi sono fondate?
- Perché non tutti vengono eletti con le preferenze? Come funziona nel resto d'Europa?
- Quali sono state le richieste di modifica nell’ultimo passaggio alla Camera? Perché la maggioranza del Pd non le ha volute accogliere?
- Con questa legge l'elettorato avrà meno potere?
- L’Italicum è paragonabile alla “legge Acerbo” e alla “legge truffa”?
- È legittimo porre la questione di fiducia sulla legge elettorale? Era necessario?
- C'è il rischio che vincano i populismi con questa legge?
Una nuova legge elettorale rappresenta o no una priorità per il Paese?
Si sente dire che la legge elettorale non sia la priorità del Paese, ma l’affermazione ovviamente non tiene in nessun conto il fatto che essa è alla base del sistema politico e istituzionale, e come tale rappresenta il meccanismo fondamentale il cui inceppamento può provocare la paralisi del sistema stesso.
L’esito delle elezioni politiche del 2013 ha provocato uno stallo istituzionale lungo e pericoloso. Nessuno degli schieramenti presentatisi alle elezioni era nella possibilità di formare un governo. Contemporaneamente, il ritorno alle urne avrebbe riproposto la stessa identica situazione.
L’elezione del nuovo Presidente della Repubblica si andava avvitando in uno stallo senza via d’uscita, finché la maggior parte dei partiti chiese a Giorgio Napolitano di rendersi disponibile alla riconferma. Napolitano accettò subordinando la sua disponibilità all’impegno che la legislatura si impegnasse a fare quelle riforme (modifica del bicameralismo perfetto, nuova legge elettorale) che sole potevano impedire che una simile situazione si riproponesse. Quell’impegno fu assunto dai parlamentari e dai partiti che votarono Napolitano con lunghi applausi a scena aperta e dichiarazioni pubbliche.
Successivamente, nel dicembre 2013, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune parti della legge elettorale in vigore (nota come Porcellum). Da quel momento, senza l’approvazione di una nuova legge elettorale, in caso di scioglimento delle Camere si sarebbe andati al voto con le norme così come modificate dall’intervento della Consulta (per questo chiamato, con fantasia giornalistica, Consultellum), che prevede un sistema proporzionale puro con le stesse soglie di sbarramento del Porcellum: alla Camera il 4% che si abbassa al 2% in caso di lista interna ad una coalizione (che deve raggiungere il 10%), al Senato l’8% su scala regionale che diventa il 4% in coalizione (che deve raggiungere il 20%).
Tuttavia, non essendo più in vigore il premio di maggioranza, non vi sarebbe nessun interesse a dar vita a coalizioni prima delle elezioni, con l’alta probabilità di dar vita a posticci accordi dopo il risultato elettorale.
La scelta dei candidati avverrebbe attraverso la preferenza unica, cosa che comporterebbe un forte arretramento nella rappresentanza parlamentare femminile, oltre ai noti problemi legati alle preferenze che vedremo in seguito.
Di fatto, con questo sistema, nessun partito e neanche nessun “blocco coalizionale” così come conosciuti fino ad oggi potrebbe mai formare un governo da solo, e quindi sarebbe inevitabile un governo di larghe intese tra schieramenti molto distanti quando non opposti. Con tutte le conseguenze del caso sulla governabilità.
Dire che non è urgente approvare una legge elettorale significa prendersi la responsabilità di mantenere un sistema “congelato”. Le priorità sentite dai cittadini sono ovviamente altre (lavoro, pensioni, povertà etc.), ma senza la possibilità di fare scelte legislative chiare, e dunque senza la presenza di regole che disciplinano adeguatamente il funzionamento democratico della cosa pubblica, sarà difficile poter affrontare tutte quelle emergenze, quelle priorità, che servono oggi al Paese.
Cosa prevede esattamente l'Italicum?
La legge elettorale denominata Italicum è stata approvata in prima lettura dalla Camera in data 12 marzo 2014 in una versione molto diversa dall’attuale. È stata approvata dal Senato nella versione attuale in data 27 gennaio 2015. Quasi un anno di discussione che ha introdotto moltissime modifiche.
L’obiettivo principale è quello di consentire, immediatamente all’esito del risultato elettorale, di conoscere il partito che vince le elezioni e che quindi può dare vita ad un Governo con una maggioranza coesa.
Il sistema resterà però parlamentare, perché l’iter di incarico del Presidente del Consiglio rimane identico (nel rispetto delle norme e delle consuetudini costituzionali vigenti) e quindi la Camera dovrà sempre dare la fiducia e potrà sfiduciare il premier, anche sostituendolo (l’Italicum è previsto per la sola elezione della Camera dei deputati, essendo altro obiettivo primario della legislatura il superamento del bicameralismo perfetto, con trasformazione del Senato in “Camera delle autonomie” composta da rappresentanti regionali). Tuttavia è evidente che l’elezione a doppio turno e un premio di maggioranza che definisce la forza di governo, con ogni probabilità consentirà una maggiore stabilità al leader del partito uscito vincente dalle elezioni.
Non viene introdotta, quindi, l’elezione diretta del Premier (in tal caso, come succede per i sindaci e i presidenti di regione, in caso di sfiducia si avrebbe l’automatico scioglimento della Camera e nuove elezioni), ma di sicuro ne viene rafforzata la figura, la tenuta del governo e il legame tra questo e la sua maggioranza parlamentare.
Nello stesso tempo, a differenza della prima versione della legge, la soglia di sbarramento è più bassa (3%) per garantire a tutti di poter avere una rappresentanza parlamentare. L’abbassamento della soglia, richiesto dai partiti più piccoli, è stato possibile in quanto contemporaneamente è stato introdotto il “premio alla lista” e non alla coalizione: vale a dire che il premio di maggioranza viene assegnato al partito che prende più voti (almeno il 40% al primo turno, o la vittoria al secondo turno). Così ai piccoli partiti viene garantita la rappresentanza, senza pregiudicare la governabilità del Paese. Ma vediamo nel dettaglio il meccanismo della legge.
Il sistema elettorale sarà proporzionale (ovvero il numero di seggi verrà assegnato in proporzione al numero di voti ricevuti) e il calcolo sarà fatto su base nazionale e non provinciale, utilizzando la regola “dei più alti resti”. Questo favorirà i partiti più piccoli, che con un calcolo su base provinciale sarebbero stati molto penalizzati.
In passato, con il Mattarellum, per effetto del sistema di collegi uninominali per l’assegnazione dei seggi, un numero complessivo di voti più elevato poteva non determinare la vittoria. Ad esempio alle elezioni politiche del 1996 l’Unione di Prodi guadagnò un numero maggiore di seggi alla Camera, pur avendo preso meno voti del Polo per le Libertà di Berlusconi. Con l’Italicum questo non potrà avvenire.
Vengono ridotte le dimensioni delle circoscrizioni elettorali, rispetto a quelle attuali, favorendo il rapporto degli eletti col territorio. Attualmente le circoscrizioni sono 27 (più la circoscrizione esteri) di dimensioni diverse (si va dai 126.000 abitanti della circoscrizione Val d’Aosta agli oltre 4 milioni dell’Emilia Romagna), mentre con l’Italicum avremo 100 circoscrizioni con circa 600.000 abitanti ognuna. In ogni circoscrizione ogni partito presenta una lista con in media sei candidati.
Per quanto riguarda la circoscrizione estero, restano fermi 12 seggi suddivisi nelle 4 ripartizioni: Europa, America meridionale, America settentrionale e centrale, Africa/Asia/Oceania/Antartide.
Per la scelta dei candidati il cambiamento è sostanziale. Col Porcellum in ogni circoscrizione i partiti presentavano liste bloccate che, data l’ampiezza della circoscrizione, potevano contenere tanti candidati quanti seggi attribuibili alla stessa circoscrizione (ad esempio 23 candidati nella circoscrizione Piemonte-1, 40 per Lombardia-1). Questi candidati potevano essere conosciuti solo leggendo i manifesti elettorali esposti. Con l’Italicum, invece, sulla scheda elettorale accanto al simbolo del partito l’elettore troverà il nome del capolista e lo spazio per indicare due preferenze, di sesso diverso.
Se è vero che il primo seggio aggiudicato dalla lista nella singola circoscrizione viene automaticamente assegnato al capolista (che viene quindi considerato “bloccato”), è vero però che questi assume un forte ruolo di rappresentanza del partito sul territorio, cosa che imporrà ai partiti una scelta ben più ponderata rispetto alle lunghe liste bloccate del Porcellum (i cui candidati finivano per essere sconosciuti ai più).
E se in teoria i partiti più piccoli finirebbero per eleggere solo i capilista, in realtà l’introduzione della possibilità delle candidature multiple, cioè la possibilità di candidarsi in più di una circoscrizione (introducendo però rispetto al Porcellum il limite a un massimo di 10), consentirà l’elezione tramite preferenze anche di candidati dei partiti piccoli. Questo perché il sistema introdotto dall’Italicum non consente di prevedere con certezza le circoscrizioni dove “scatteranno” i seggi e quindi per i partiti più piccoli sarà necessario candidare i propri leader in più circoscrizioni, per poterne garantire l’elezione.
Per quanto riguarda la questione di genere, oltre alla doppia preferenza è stato introdotto l’obbligo che il numero dei capilista dello stesso sesso non possa essere superiore al 60%.
Se al primo turno un partito raggiunge il 40% dei voti, ad esso verranno assegnati il 55% dei seggi. Il Porcellum prevedeva un premio di maggioranza sempre pari a 340 seggi ma senza soglia minima, con conseguenze davvero paradossali nel caso di un sistema molto frammentato. È questa assenza di soglia minima che è stata dichiarata incostituzionale, non l’esistenza di un premio di maggioranza, in vigore peraltro nei sistemi elettorali di tutti gli altri livelli di governo – regioni e comuni.
Se al primo turno nessun partito raggiunge il 40% dei voti, il primo e il secondo partito che hanno preso più voti si affronteranno in un ballottaggio. Al vincitore verrà assegnato il premio di maggioranza e quindi la possibilità di formare il governo.
Cosa è cambiato rispetto alla prima versione votata dalla Camera il 12 marzo 2014?
La prima versione dell’Italicum prevedeva soglie di sbarramento del 4,5% per i partiti in coalizione e dell’8% per le liste non coalizzate, soglie che oggettivamente limitavano fortemente il principio di rappresentatività. Il limite per ottenere seggi in Parlamento è invece ora stabilito al 3% per le liste su base nazionale, mentre le liste che rappresentano minoranze linguistiche in Regioni a statuto speciale devono aver preso almeno il 20% su base regionale.
Inoltre, una delle questioni fondamentali del sistema Italicum è proprio la garanzia di maggioranze parlamentari inequivocabili e stabili per il futuro, motivo per cui si introduce sia il premio di maggioranza che il doppio turno elettorale. In sostanza, nel primo testo si prevedeva l’assegnazione dei seggi per liste e coalizioni di liste, mentre nel testo attuale si prevede l’assegnazione solo alle liste, con l'eventuale attribuzione di un premio di maggioranza a seguito del primo turno di votazione, oppure a seguito di un turno di ballottaggio. Tale premio di maggioranza è stabilito nell’attuale testo, approvato dal Senato e in discussione alla Camera, qualora la lista si aggiudichi il 40% dei voti al primo turno, mentre nel precedente testo era stabilito al 37%.
Per quanto riguarda la scelta dei candidati, nel primo testo l’elettore avrebbe trovato sulla scheda elettorale i simboli dei partiti accanto ai quali sarebbero comparsi i nomi di 4 candidati, senza possibilità di scelta. Nel testo attuale come abbiamo visto è stata introdotta la doppia preferenza di genere accanto a un capolista di collegio.
Inoltre, a differenza della prima versione del testo, il disegno di legge consente a chi si trova all’estero per motivi di studio, lavoro o salute di votare per corrispondenza. La misura - introdotta da un emendamento firmato da tre senatori del Pd - permetterà a circa 25mila ragazzi impegnati nel programma di scambio per studenti Erasmus di esercitare il loro diritto di voto. Stando alla norma possono votare per corrispondenza, solo per un’unica consultazione elettorale e nella Circoscrizione estero, i «cittadini italiani che, per motivi di lavoro, studio o cure mediche, si trovano, per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento della medesima consultazione elettorale, in un Paese estero in cui non sono anagraficamente residenti». Un diritto che viene esteso i familiari conviventi con i suddetti cittadini residenti all’estero. Per farlo, gli aspiranti elettori dovranno presentare domanda al comune di iscrizione elettorale entro i dieci giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali. Il comune interessato dovrà inviare tutti i dati al Viminale che avrà poi 28 giorni per avvisare la Farnesina. Toccherà infatti al ministero degli Affari esteri trasmettere agli uffici consolari competenti i nominativi degli elettori.
È una legge fatta senza il coinvolgimento delle opposizioni?
Assolutamente no, anzi, tutte le modifiche sopra descritte, tra il primo testo uscito dalla Camera l’anno scorso e quello attualmente in discussione approvato al Senato, sono state fortemente volute dalle opposizioni, dalla minoranza interna al Pd e dai partiti più piccoli. Nello specifico, la richiesta di ridurre la soglia di accesso in Parlamento, dal 4,5% per le liste non coalizzate e l’8% per quelle in coalizioni al 3% per tutti, era giunta da gruppi parlamentari interni alla maggioranza di governo, a partire dal Nuovo Centro-destra e dalla stessa minoranza del Pd, senza dimenticare, al di fuori del perimetro di maggioranza, Sinistra Ecologia e Libertà. La nuova stesura del testo di legge, esattamente identico a quello in discussione oggi, è stato approvato al Senato con i voti di Forza Italia, partito che oggi si dice non disposto a confermare quel voto. Inoltre va ricordato che il premio alla lista (e non alla coalizione) è stato richiesto pubblicamente dal Movimento 5 Stelle.
Infine, la modalità di scelta dei candidati è frutto di una mediazione tra la contrarietà di Forza Italia (ma anche di molte aree di partiti diversi) a preferenze e collegi uninominali e la richiesta di preferenze da parte della minoranza Pd, NCD e M5S. Mentre la doppia preferenza di genere e il limite al 60% per ogni genere tra i capilista è stato richiesto da tutte le parlamentari donne trasversalmente ai gruppi.
Perché Renzi insiste tanto nella sua approvazione?
La ferma intenzione di giungere ad una rapida approvazione, possibile solo senza modifiche del testo cambiato completamente al Senato, si deve anzitutto alla necessità di non affondare per l’ennesima volta la necessaria riforma della legge elettorale. Perché è evidente che un successivo passaggio al Senato, cui si sarebbe costretti in caso di modifiche anche minime alla Camera, dove i numeri della maggioranza sono molto problematici, comporterebbe quasi sicuramente l’affossamento della legge. E ciò lo si deve principalmente all’atteggiamento di Forza Italia, partito d’opposizione che ha votato questa identica legge al Senato ma che oggi (per le note conseguenze dovute all’elezione a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella) ha disconosciuto il suo operato. Ciò oltre al dissenso manifestato dalla minoranza interna al Pd, che non intende arretrare sulle ulteriori richieste di modifica, pur avendo ottenuto molti dei cambiamenti richiesti e pur essendosi espressa più volte la maggioranza del Partito e del Gruppo parlamentare a favore dell’approvazione della legge nella forma attuale.
La volontà di approvare questa legge è dovuta anche per non compromettere il faticoso lavoro di mediazione fino ad oggi realizzato, disconosciuto dalle forze politiche di opposizione ma provato dagli atti parlamentari.
L’apposizione della fiducia si è resa necessaria per via della richiesta di voto segreto avanzata da Forza Italia, che avrebbe comportato l’alta probabilità di una convergenza delle opposizioni e della minoranza interna del Pd con i partiti piccoli della attuale coalizione di governo a favore della reintroduzione del premio alla coalizione. Ciò, unitamente all’abbassamento delle soglie di sbarramento (che come abbiamo visto era stato però ottenuto sulla base di un accordo che prevedeva il premio alla lista) comporterebbe il ritorno a coalizioni di governo estremamente frammentate.
L’approvazione della legge elettorale non cela comunque la volontà politica o il calcolo utilitaristico di voler andare a elezioni anticipate. L’Italicum infatti non entrerà in vigore prima del 1° luglio 2016, questo perché il chiaro mandato del governo è il completamento di un percorso di riforme delineate. Percorso che il Partito democratico ha intenzione di portare fino in fondo, ma senza alcun tipo di alibi.
Le accuse di incostituzionalità sono fondate?
La principale accusa di incostituzionalità che si muove alla legge elettorale riguarda l’attribuzione del premio di maggioranza. Ma su questo punto basterebbe leggere la sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014 che ha cassato questo specifico aspetto del Porcellum per accorgersi dell’infondatezza di questa affermazione. Leggendo le motivazioni depositate il 13 gennaio dell’anno scorso è chiaro come l’illegittimità del premio di maggioranza fosse legata all’assegnazione di quest’ultimo senza quorum determinato, facendolo scattare, nei fatti, in maniera illimitata. Questa censura viene superata dall’Italicum, in quanto il premio di maggioranza può essere assegnato al primo turno solo alla lista o coalizione che superi il 40% dei consensi. Nel caso in cui ciò non si verifichi l’assegnazione del premio di maggioranza è legato all’affermazione al ballottaggio, ove prevale con evidenza comunque chi raccoglie il 50% più uno dei voti. In relazione alle accuse di incostituzionalità relative alla previsione di capilista bloccati, anche su questo punto la Corte Costituzionale ha chiarito che l’illegittimità della lista bloccata del Porcellum era tale in quanto non consentiva alcuna scelta agli elettori, trasformando di fatto il loro voto in un voto indiretto “di lista”. Ciò era dovuto al fatto che la lista si presentava in circoscrizioni molto ampie, contenendo un numero assai elevato di candidati (come visto addirittura corrispondente all’intero numero di seggi assegnati) e quindi inconoscibili per l’elettore. Una simile disciplina, secondo la Corte, privava l’elettore di ogni margine di conoscibilità e libera scelta dei propri rappresentanti. La Consulta ha sottolineato come questo sistema fosse: «non comparabile ad altri caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi o da circoscrizioni di dimensioni territorialmente ridotte, con elezione di un numero di candidati esiguo e tale da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto».
Quindi, l’Italicum, escludendo solo i capilista dal sistema delle preferenze e presentando liste ridotte su circoscrizioni territorialmente limitate, non preclude affatto la libertà di scelta degli elettori, rispondendo appieno alle osservazioni mosse dalla Corte Costituzionale.
Le accuse di introduzione surrettizia di presidenzialismo senza contrappesi sono fondate?
È argomento dibattuto il fatto che l’Italicum di fatto superi il parlamentarismo introducendo l’elezione diretta del Premier. Senza alcuna ambiguità bisogna affermare che, seppure l’Italicum possieda un chiaro impianto maggioritario, tale versione non corrisponde alla realtà delle cose. Si introduce sì una legittimazione diretta (già presente nella prassi recente con l’indicazione del candidato Premier nei simboli dei partiti), ma tale investitura popolare poi passa per le procedure fiduciarie, così che il Presidente del Consiglio deve ottenere la fiducia della Camera e può essere sfiduciato senza determinare lo scioglimento della stessa. Un impianto chiaro dunque, dove emerge dal voto un vincitore e al cittadino viene dato il potere di esprimersi chiaramente, ma resta un potere fondamentale del Parlamento.
Un premierato forte, quindi, ma non un’elezione diretta del Premier.
Cosa ancora diversa sarebbe l’introduzione del presidenzialismo, o di una forma semi-presidenziale, in quanto in Italia la figura e le prerogative del Presidente della Repubblica rimangono ben distinte e non avviene in alcun modo l’elezione diretta di nessuna delle due figure (Capo di Stato e Capo del Governo).
Del resto, solo per fare un esempio, nel Regno Unito, patria del governo parlamentare e certamente un Paese tutt’altro che presidenzialista, il Primo ministro stabilisce l’ordine del giorno della Camera dei Comuni per i tre quarti del tempo e può porre il veto su emendamenti al bilancio che aumentino la spesa o diminuiscano le entrate. Il capo dello Stato (Monarca), a differenza dell’Italia, ha un ruolo simbolico e la Camera dei Lord (Camera alta) presenta poteri estremamente limitati. Non esiste una Corte costituzionale, i magistrati sono funzionari del governo e non vi è il referendum di tipo abrogativo. Nel nostro Paese, il sistema Italicum non solo non va ad intaccare alcun contrappeso ma si verrebbero a creare per la prima volta dei “pesi” reali, come l’agibilità del Parlamento o la reale presa d’atto di un sistema che consenta ai cittadini quantomeno di scegliere l’orientamento politico di un determinato esecutivo. Restando immutati i quorum per l’elezione (in quota parlamentare) dei membri degli altri organi a rilevanza costituzionale, la prassi di dialogo e accordo maggioranza-opposizione permane immutata. Peraltro la riforma costituzionale approvata in seconda lettura alla Camera, prevede l’innalzamento del quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica, con ulteriore rafforzamento della dialettica maggioranza-opposizione per l’elezione della carica più alta dello Stato. Bisogna infine ribadire che in tutte le democrazie parlamentari il contrappeso fondamentale al potere legislativo, specie se di iniziativa governativa, rimane il giudizio insindacabile sulla costituzionalità delle leggi dato dalla Consulta.
Perché non tutti vengono eletti con le preferenze? Come funziona nel resto d'Europa?
Le opposizioni in un eventuale Parlamento risultato dall’Italicum avranno senza dubbio un numero minore di eletti non-capilista rispetto al partito che risulterà vincitore, ma solo nel caso in cui i partiti più piccoli non procedessero a candidature multiple non eleggerebbero nessuno con le preferenze. Questo è molto improbabile poiché proprio i partiti più piccoli esprimono l’esigenza di blindare la propria classe dirigente alle elezioni affinché essa abbia comunque la possibilità di entrare nelle istituzioni. Quando un eletto capolista sceglie uno dei collegi dove è stato eletto, negli altri collegi dove era candidato scatta l’elezione di colui che ha ricevuto più preferenze, così che anche le piccole forze politiche in realtà saranno ben rappresentate da eletti tramite preferenza.
Ciò è da considerarsi un sostanziale passo avanti rispetto ai sistemi elettorali precedenti, dove certamente il candidato non era scelto direttamente dall’elettorato, ma l’intera lista era tutta di nominati. L’ipotesi di un sistema di sole preferenze, del resto, è stata criticata da sempre e da più parti (soprattutto da coloro i quali oggi criticano i capilista bloccati). Nella quasi totalità dei Paesi europei, soprattutto quelli socialmente e politicamente più vicini a noi, le preferenze sono sempre accompagnate da una parte di eletti bloccati dai partiti, proprio per impedire dinamiche di selezione dei parlamentari che rischiano di avvenire fuori dai contesti controllati della democrazia (poteri economici, lobbies, criminalità).
Tornando al contesto italiano, è sotto gli occhi di tutti come determinati “feudi” di potere si siano consolidati per la presenza di pacchetti di preferenze, intorno a singole figure, difficilmente scardinabili. D’altronde una delle principali critiche mosse alle elezioni territoriali (che avvengono con il sistema delle preferenze) è proprio il lento ricambio della classe dirigente.
Una soluzione che avesse previsto liste bloccate corte, collegata ad un sistema obbligatorio di scelta dei candidati attraverso elezioni primarie interne ai partiti, sarebbe stata preferibile. Ciò tuttavia si deve misurare con le resistenze di gran parte delle forze politiche attualmente rappresentate nelle istituzioni.
È sostanzialmente corretta inoltre l’osservazione secondo cui il primo partito della competizione elettorale eleggerà più parlamentari con le preferenze rispetto agli altri, ma un tale esito non rappresenterebbe un unicum, basti pensare al sistema elettorale tedesco dove, dal secondo partito della competizione in poi, i candidati eletti con le liste “bloccate” sono in numero maggiore di quelli eletti con le preferenze.
Come in ogni sistema democratico, la scelta della classe dirigente vede nel sistema elettorale il suo approdo, non la sua origine. Se un partito sarà in grado di regolamentare la sua vita interna, dare spazio a esigenze di rinnovamento, attuare passaggi ulteriori di selezione come le primarie, non ci saranno pericoli di rappresentatività di nessun tipo. Di volta in volta la situazione può essere diversa, ma questo dipende dai partiti italiani, a prescindere dalla legge elettorale.
Quali sono state le richieste di modifica nell’ultimo passaggio alla Camera? Perché la maggioranza del Pd non le ha volute accogliere?
A parte la necessità di non rinviare la legge al Senato, la maggioranza del Pd è convintamente contraria alle proposte di modifica avanzate dalla minoranza.
In particolare alle richieste di modifica vertenti su: la possibilità di apparentamento al secondo turno tra diverse liste; il premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista e la rimozione di gran parte dei capilista bloccati. Tralasciando il fatto che, come ho detto, la maggior parte di queste misure sono state volute da forze di opposizione e dalla minoranza del Pd, è stato detto come il sistema dei capilista bloccati sia stato un punto di compromesso e accoglierne la modifica significherebbe ricominciare da capo.
Negare l’apparentamento al secondo turno è un principio che tutela la democraticità di un sistema che non tradisca la volontà dell’elettore di esprimere un vincitore certo, e che al ballottaggio si confrontino le due idee maggiormente votate dai cittadini: senza accordi posticci con apparati di liste poco votate, ininfluenti, la cui esistenza nelle istituzioni spesso si giustifica solo a seguito di questi accordi. Solo i progetti maggiormente votati dal corpo elettorale meritano di affrontarsi al ballottaggio.
La domanda che ci si è posti è stata: È davvero preferibile tornare al sistema delle coalizioni eterogenee anche a rischio di riproporre eventuali circostanze di larghe intese? È davvero meglio obbligare un partito a coalizzarsi per entrare in Parlamento costringendo il Paese ancora una volta a coalizioni spurie? Se ogni progetto politico, invece, si presenta alle elezioni con la sua proposta e il coraggio di proporne la validità agli elettori, l’unico effetto sarà quello di un Parlamento con un po’ meno ruggini del passato, riproposte ciclicamente tramite accordi e aggregazioni tra apparati, e un po’ più di rappresentatività dei reali sentimenti dell’elettorato.
L’idea di riproporre coalizioni simili all’esperienza dell’Unione, dovrebbe riportare alla mente come le cause stesse del crollo dei governi di centrosinistra siano state causate proprio dell’allargamento senza pesi della coalizione e la mancanza di un reale collante al di fuori della ragione elettoralistica in sé. L’eventualità che una lista assorba piccole forze al suo interno, con la possibilità di successivi ricatti da parte di queste, non è certo un problema che si risolve con la legge elettorale. Con qualsiasi tipo di sistema, spetta ai partiti dotarsi di regole serie e impedire il riproporsi di meccanismi caotici e ricattatori al proprio interno. Se non lo faranno – e qui sta il grande merito dell’Italicum – i cittadini potranno bocciarli in maniera diretta e inequivocabile attraverso il proprio voto.
Con questa legge l'elettorato avrà meno potere?
Chi afferma che questa legge elettorale limiti in qualche modo il potere di scelta dei cittadini dice una cosa non vera e anzi contraria alla realtà. Con l’Italicum al cittadino viene restituito non solo il diritto a votare il partito che maggiormente corrisponde al suo sentire politico, ma anche la possibilità di incidere realmente sulla formazione della maggioranza parlamentare, grazie al voto al secondo turno. Il cittadino avrà dunque a disposizione due voti e con un peso specifico maggiore.
La contrarietà di molti all’Italicum risiede proprio nel timore che un eccessivo potere dell’elettorato possa sfociare nel plebiscitarismo, e favorire forze populiste. È una critica fondata (su cui tuttavia non sono state presentate proposte di modifica specifiche, anche perché occorrerebbe nel caso rigettare l’impianto stesso della legge) ma che è bilanciato dal rischio che la perpetuazione di una situazione di instabilità e debolezza istituzionale finisca col favorire l’espansione dei populismi, così come del resto è accaduto negli ultimi anni.
L’Italicum è paragonabile alla “legge Acerbo” e alla “legge truffa”?
Sono paragoni totalmente infondati in contesti storici talmente diversi, in un caso drammatico, che dovrebbero quantomeno suscitare pudore nell’utilizzo. Al di la delle profonde differenze sostanziali in ambo i casi (il 25% dei consensi dava diritto ai 2/3 dei componenti della Camera nella “legge Acerbo”; le liste collegate che avessero raggiunto il 50,1% davano diritto al 65% dei seggi nella “legge truffa”) è il contesto di Stato costituzionale in cui viviamo che rende i paragoni mistificatori e fuori luogo. La famigerata “legge Acerbo”, nello Stato legislativo di allora fu funzionale al fascismo per smantellare lo Statuto Albertino, torcendo il sistema liberale in quello fascista. Lo Statuto Albertino non era una costituzione rigida, ma modificabile in via ordinaria. La famosa “legge truffa” fu approvata nel 1953 e, sebbene non esplicò mai i suoi effetti, in quell’anno ancora non aveva trovato attuazione la Corte costituzionale. Oltre la sproporzione che il meccanismo elettorale comportava (premio di maggioranza al 65%, più alto della soglia per elezione dei membri di nomina parlamentare degli altri organi costituzionali) era assolutamente chiaro come mancasse un contrappeso fondamentale, ovvero la Consulta. Il nostro Stato costituzionale mantiene appieno tutte le garanzie fondamentali e la Corte costituzionale mantiene appieno il controllo sulla conformità delle leggi alla Costituzione.
È legittimo porre la questione di fiducia sulla legge elettorale? Era necessario?
Porre la questione di fiducia sulla legge elettorale è stata una decisione sofferta e difficile, ma resa necessaria dalla volontà di diversi gruppi parlamentari di avvalersi del voto segreto, che avrebbe portato a possibili “agguati” nelle votazioni. Ovviamente non si vuole eludere il problema politico di fondo, dove esponenti di rilievo del Partito democratico, magari storicamente contrari alle preferenze, o addirittura firmatari del “referendum Guzzetta” (che avrebbe modificato il “Porcellum” assegnando il premio di maggioranza alla lista) si sono dichiarati disposti a votare contro le decisioni assunte dai gruppi parlamentari e dagli organismi politici del Partito. Ma l’alternativa a tale decisione, come spiegato, avrebbe potuto determinare una modifica della legge con successivo passaggio al Senato. Bisogna ricordare inoltre che lo stesso Presidente del Consiglio aveva già di fatto legato in maniera sostanziale le sorti dell’Esecutivo all’approvazione della legge elettorale. Se i precedenti in cui questo è avvenuto non sono sicuramente positivi, occorre sottolineare come negli ultimi cinquant’anni solo 3 volte il nostro Parlamento abbia discusso di legge elettorale e solo nel ’93, sulla spinta del limpido esito referendario, tale questione sia stata di totale gestione parlamentare.
C'è il rischio che vincano i populismi con questa legge?
Il populismo, la demagogia, i partiti xenofobi e antieuropei, sono un problema reale e drammatico praticamente in tutta l'Europa. Alle elezioni di diversi paesi comunitari, con sistemi elettorali alcuni simili altri differenti dall'Italicum e con forme di governo di ogni sorta, l'affermazione di queste forze è stata spesso al di sopra di ogni previsione. La Grecia con Alba Dorata, il Fronte Nazionale in Francia, il movimento di Farage nel Regno Unito, così come i movimenti di estrema destra in Scandinavia o il pericoloso governo xenofobo in Ungheria, sono tutte forze che si sono affermate a prescindere dalla legge elettorale vigente e in alcuni casi hanno vinto le elezioni. Ma la ragione della loro vittoria va ricercata proprio nell'assenza di risposte, nella mancanza di riforme fattive, nel bisogno di cambiamento irrisolto che la classe politica tradizionale, democratica e filoeuropea, è stata capace di dare.
L'alternativa alla nuova legge elettorale, dunque, non è un'altra legge con la quale i movimenti populisti siano tenuti lontani dalla possibilità di governare, bensì un sistema, quello attuale, che consentirebbe loro di crescere e prosperare all'ombra di larghe intese perenni o comunque molto frequenti. L'Italicum pone un argine agli accordi post elettorali, garantisce alla lista vincente di governare e dunque di fare le riforme, sblocca ogni ipotesi di immobilismo del parlamento e degli esecutivi, togliendo dunque la linfa vitale fatta di argomentazioni facili ai movimenti populisti, estremisti e realmente pericolosi per la democrazia.