“Bocciato il Reddito di inclusione” annuncia un post trionfante di Sinistra Italiana. E già attenendosi al titolo, a una persona minimamente dotata di raziocinio verrebbe da chiedersi come sia possibile bocciare una misura che deve ancora essere attuata.
Se non fosse che il tema in discussione è la condizione delle fasce più deboli della società italiana ci sarebbe da sorridere: purtroppo la bieca speculazione sulla povertà provoca reazioni decisamente diverse.
“Bocciato il Reddito di inclusione” annuncia un post trionfante di Sinistra Italiana. E già attenendosi al titolo, a una persona minimamente dotata di raziocinio verrebbe da chiedersi come sia possibile bocciare una misura che deve ancora essere attuata.
Passiamo allora al contenuto del post: “L’Ufficio parlamentare di Bilancio scrive che il Reddito di inclusione non è in grado di ridurre i rischi di povertà sulle fasce della popolazione e che servirebbe finanziare un reddito minimo garantito di almeno 5-7 miliardi per combattere la povertà assoluta”. Una frase già in sé contraddittori visto che il Rei è lo strumento per combattere la povertà assoluta e non la povertà relativa, tanto meno il rischio di povertà (nozioni profondamente diverse, come ho provato a spiegare qualche tempo fa). Ma andiamo con ordine, valutando cosa dice il rapporto sulla programmazione di bilancio 2017, con una precisazione: l’Udp ha il compito di svolgere analisi sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del Governo e di valutare il rispetto delle regole di bilancio nazionali ed europee, non certo di “bocciare” delle misure.
Venendo al rapporto, dopo una serie di considerazioni sui dati relativi al rischio di povertà e alla povertà relativa (già qui, potremmo discuterne l’utilità se il riferimento diretto è il Rei, che si rivolge a una platea diversa ovvero la povertà assoluta) e dopo aver analizzato con alcune imprecisioni il passaggio dal Sia al Rei (scrivere che il Rei avrà le stesse modalità applicative del Sia non appare corretto, dovendo ancora essere emanato il decreto delegato attuativo) nonché le risorse a disposizione (anche qui, parlare di circa 1 miliardo per il biennio 2017-2018 è un errore grossolano, essendo stanziati 1,5 miliardi per l’anno in corso e 2 miliardi per il 2018), il rapporto chiude testualmente: “L’estensione del piano al complesso delle famiglie in condizione di povertà assoluta sarà condizionata allo stanziamento di ulteriori risorse e alla eventuale prospettiva di una più estesa integrazione in un unico strumento delle diverse misure attualmente vigenti. Stime condotte nel 2013 nell’ambito del Gruppo di lavoro sul reddito minimo istituito dal Ministro del Lavoro e delle politiche sociali quantificano tra i 5 e i 7 miliardi di euro il costo di una misura che consenta di colmare integralmente il gap esistente tra il reddito disponibile e la soglia di povertà per la totalità delle famiglie in condizione di povertà assoluta”.
Quella che viene annunciata con soddisfazione come bocciatura non è altro che il percorso attuativo del Rei delineato dal DDL povertà. Il Rei dovrà essere la misura unica di contrasto alla povertà assoluta, dunque rivolta a tutte le persone in queste condizioni in base al graduale incremento delle risorse stanziate. Una gradualità che nasce dall’esigenza primaria di garantire l’efficacia della misura, con l’implementazione e il rafforzamento dei servizi, come ribadito durante tutto il percorso normativo e nel confronto costante con l’Alleanza contro la povertà, consolidato nel memorandum siglato pochi giorni fa. Una non notizia dunque, urlata in modo confuso e sguaiato, facendosi vanto, per di più, del fatto di aver votato contro il Reddito di inclusione, che già nella sua dimensione parziale rappresenta l’investimento più ingente sul tema della lotta alla povertà della storia della Repubblica. Uno strano modo di sentirsi i “veri” rappresentanti della Sinistra.