ilfoglio.it - Perché la grande povertà è quella di chi parla a sproposito di povertà

Martedì 25 Aprile 2017 di Marco Fortis 4781

C'è stata un'epoca, nei primi due decenni del secondo Dopoguerra, in cui gli italiani si ritenevano poveri ma belli. Sicuramente allora erano più poveri di oggi ma, oltre a credersi belli, erano anche molto più fiduciosi circa il loro futuro. Ai giorni nostri, invece, la cappa di sfiducia è così pesante e oppressiva che vediamo tutto nero. E la povertà, anche a causa della scarsa conoscenza dei dati statistici e della disinformazione imperante, sembra averci psicologicamente accerchiati e prostrati. Con questo articolo non intendiamo affatto sminuire il fenomeno della povertà in Italia, che la lunga crisi 2008-'13 ha accresciuto e che purtroppo registra i valori più alti nel già molto provato Mezzogiorno. La diseguaglianza, contrariamente a un diffuso luogo comune, non è aumentata mentre la povertà sì e ha numeri importanti. Secondo l'Istat, infatti, "nel 2015 si stima che le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta siano pari a 1 milione e 582 mila e gli individui a 4 milioni e 598 mila". Ricorda sempre l'Istat che "la metodologia di stima della povertà assoluta, messa a punto nel 2005 da una commissione di studio formata da esperti del settore, è a misura basata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale".

A livello nazionale l'incidenza delle famiglie italiane in povertà assoluta era nel 2015 pari al 6,1 per cento e quella degli individui poveri pari al 7,6. Su 1 milione e 582 mila famiglie italiane in povertà assoluta quasi la metà (il 47 per cento), cioè 744 mila, erano nel Mezzogiorno, che deteneva anche il primato negativo di 2 milioni e 48 mila individui in povertà assoluta (il 45 per cento del totale nazionale). Cifre che indubbiamente non possono non preoccupare. Nello stesso tempo desta però sconcerto come i media in Italia gestiscano in modo alquanto approssimativo, per non dire tendenzioso, un tema così delicato come quello della povertà. Come se giornali e tv fossero impegnati in una spasmodica ricerca continua di notizie negative a effetto da sparare sulle prime pagine o nei tg e nei talk show senza alcuna analisi professionale dei dati e senza un loro adeguato inquadramento temporale.

È significativo al riguardo ciò che è avvenuto qualche giorno fa. Il direttore del dipartimento della produzione statistica dell'Istat, Roberto Monducci, è intervenuto in una audizione sul Def in Parlamento presentando una dettagliata relazione che avrebbe meritato miglior sorte ma che invece è stata quasi completamente trascurata dai media eccezion fatta per un paragrafo che ha prontamente attirato l'attenzione dei "cacciatori di scoop". In tale paragrafo si affermava che, in base a primi dati provvisori, gli italiani disagiati in condizioni di "grave deprivazione materiale" nel 2016 sono risultati pari all'11,9 per cento della popolazione (circa 7,2 milioni).

Ciò è bastato per innescare immediati lanci di agenzia che hanno avuto grande ripresa sui siti internet di tutti i principali organi di informazione e sulle edizioni del giorno dopo. Citeremo qui due soli esempi.

Un pur blasonato e autorevole quotidiano ha titolato in prima pagina con granitica sicurezza: "Oltre 7 milioni di poveri in Italia". Mentre un quotidiano più acerbo e aggressivo ha messo sempre in prima pagina le foto accostate di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni titolando: "2,8 milioni di poveri in più grazie a questi 4" (verrebbe subito da dire: povero Gentiloni! È in carica come premier da soli quattro mesi e nel 2016 non si occupava di economia ma di politica estera).

La prima obiezione sostanziale a questa sommaria trattazione dei dati, fatta con l'accetta e con grande superficialità, è che le statistiche sui poveri e quelle sugli individui in grave deprivazione materiale sono piuttosto differenti tra di loro, sia come concetto in sé sia come metodologie di rilevazione. Sulla "povertà assoluta" si è già detto più sopra: è un concetto ricavato da dati monetari abbastanza oggettivi. Mentre il concetto di "individui deprivati" si fonda su interviste a campioni di cittadini ed è molto soggettivo, quand'anche l'indagine sia svolta con la più assoluta professionalità. Rispetto al concetto di povertà assoluta illustrato in precedenza, quello di grave deprivazione è la percentuale di persone appartenenti a famiglie che, in base alle interviste, registrano almeno quattro segnali di deprivazione materiale sui nove indicati qui di seguito: 1) essere in arretrato nel pagamento di bollette, affitto, mutuo o altro tipo di prestito; 2) non poter riscaldare adeguatamente l'abitazione; 3) non poter sostenere spese finanziarie impreviste di una certa entità; 4) non potersi permettere un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni, cioè con proteine della carne, del pesce o equivalente vegetariano; 5) non potersi per-mettere una settimana di vacanza all'anno lontano da casa; 6) non potersi permettere un televisore a colori; 7) non potersi permettere una lavatrice; 8) non potersi permettere un'automobile; 9) non potersi permettere un telefono. Il sub-indice di deprivazione materiale, tra l'altro, è uno dei 3 indicatori che concorrono a formare l'indice generale degli "individui a rischio di povertà ed esclusione sociale" del programma Silc europeo (assieme al rischio di povertà monetaria e alla appartenenza a famiglie a bassa intensità lavorativa). Si tratta di un programma di ricerca a cui partecipano tutti gli istituti di statistica nazionali. Normalmente il sub-indice di de-privazione materiale è anche l'indicatore più rapido e aggiornato dei tre, tanto che Roberto Monducci in Parlamento ne ha diligentemente anticipato le prime stime per il 2016.

Ma, premesso tutto ciò, i poveri (4,6 milioni quelli assoluti in Italia nel 2015, come detto) sono una realtà diversa dai gravemente de-privati (7,2 milioni nel 2016). Si tratta di cifre completamente disomogenee. Dunque il blasonato quotidiano citato ha battuto un titolo non corretto: "Oltre 7 milioni di poveri in Italia" è assolutamente una fake news.

L'altro quotidiano, che ha fatto di tutta l'erba un fascio accostando in prima pagina le foto di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, è stato invece più subdolo. Infatti, si è dimenticato – guarda un po' – di mettere anche la foto di Berlusconi: un'altra fake news. Sì, perché Berlusconi non può essere affatto lasciato fuori come creatore di italiani "deprivati" in quanto nel 2011 ha governato lui (non Monti, se non gli ultimissimi giorni di dicembre) e la percentuale di deprivati in quel fatidico e tragico anno balzò letteralmente dal 7,4 per cento del 2010 all'11,1 a causa della crisi economico-finanziaria e dello spread. Poi nel 2012 (con Monti e l'austerità) i deprivati in Italia salirono ancora toccando il picco storico del 14,5 per cento. Quindi cominciarono a diminuire nel 2013 scendendo al 12,3 per cento (con Letta e l'ultima fase dell'austerità), mentre nel triennio 2014-2016 di flessibilità / ripresa economica del governo Renzi la percentuale di deprivati si è infine stabilizzata in un intervallo inferiore relativamente costante (tenuto anche conto degli intervalli di confidenza di queste stime) compreso tra 1'11,5 e 1'11,9. Ma, a parte tutto ciò, colpisce soprattutto l'assoluta disattenzione dei nostri media per la prospettiva storica del fenomeno della deprivazione in Italia, come se la no-tizia chiave fosse sempre e comunque, quasi di default, che l'ultimo anno è invariabilmente il peggiore della nostra vita. Mentre invece non è così. Innanzitutto va detto che, di fatto, dei 9 fenomeni di deprivazione che più influenzano l'indice generale, solo 5 hanno una rilevanza sostanziale, in quanto le percentuali di individui che non possono permetter-si un telefono, un tv color, una lavatrice o un'auto in Italia sono bassissime e trascurabili (e le loro variazioni ugualmente poco significative, anche per gli elevati margini di errore dell'indagine campionaria). Se poi (vedi tabella) confrontiamo l'anno di picco della deprivazione (il 2012) con l'ultimo anno disponibile (il 2016) vediamo che la situazione, contrariamente a quanto probabilmente molti pensano, è notevolmente migliorata. In-fatti, tra il 2012 e il 2016 sono significativa-mente diminuiti gli italiani che non possono fare una vacanza di almeno una settimana (-5,6 punti percentuali, cioè -2,8 milioni), che non possono sostenere forti spese impreviste (-1,9 punti percentuali, cioè -600 mila), che non possono riscaldare adeguatamente l'abitazione (-5,5 punti percentuali, cioè -3,1 milioni), che non possono permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (-2,8 punti percentuali, cioè -1,5 milioni) e che hanno arretrati nei pagamenti (-2,8 punti percentuali, cioè -1,5 milioni). Dunque in Italia c'è sicura-mente tanta povertà e di ciò dobbiamo sicuramente preoccuparci molto. Ma forse dovremmo preoccuparci anche di quanta disinformazione c'è sulla povertà stessa, sulla deprivazione e sull'esclusione sociale (e più in generale sui dati economici). Una disinformazione non degna di un paese civile, dove le polemiche gridate ormai sembrano fare premio su qualsiasi forma di verità.

 

  2012 2016
(dati provvisori)
Variazione della
quota
Totale delle persone deprivate (in % della popolazione) 14,5 11,9 -2,6
di cui % di individui che:
- non possono permettersi una settimana di
vacanza all'anno lontano da casa
50,8 45,2 -5,6
- non possono sostenere spese finanziarie
significative impreviste
42,1 40,2 -5,6
- non possono riscaldare adeguatamente l'abitazione 21,3 15,8 -5,5
- non possono permettersi un pasto adeguato (cioè con
proteine almeno una volta ogni due giorni
17,0 14,2 -2,8
- sono in arretrato nel pagamento di bollette,
affitto, mutuo o altro tipo di prestito
13,5 10,7 -2,8
- non possono permettersi un'automobile 1,8 3,2 1,4
- non possono permettersi un telefono 0,1 0,6 0,5
- non possono permettersi una lavatrice 0,3 0,4 0,1
- non possono permettersi un televisore a colori 0,2 0,2 0,0
 Persone in condizioni di grave deprivazione materiale in Italia (% sulla popolazione, elaborazione Fondazione Edison su dati Eurostat e Istat)

 

Fonte: Il Foglio