Ma partiamo dall’inizio: la teoria di fondo che l’illustre Senatrice espone è che il ReI non sia nulla di nuovo ma derivi dall’assorbimento di provvedimenti già esistenti, citando in particolare il SIA. E’ evidente che la Senatrice grillina ignora tutto il percorso strategico della lotta alla povertà, iniziato dal Governo Renzi nella legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 28 dicembre 2015, commi 386-390) con la creazione, per la prima volta nella storia di questo Paese, di un Fondo strutturale per il contrasto alla povertà, destinato alla definizione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Quella norma prevedeva che una apposita legge delega collegata alla manovra andasse a definire la nuova misura unica di contrasto alla povertà, ma essendo urgente la messa in campo di uno strumento, prevedeva anche che nelle more dell’adozione del provvedimento si procedesse all’estensione su tutto il territorio nazionale di uno strumento che era stato sperimentato solo in alcune città e per un tempo molto limitato, chiamato SIA. E’ sempre stato noto, quindi, che il ReI avrebbe preso il posto del SIA.
Eppure la Senatrice dovrebbe aver letto quanto previsto dalla legge di stabilità 2016, perché subito dopo si lancia nell’accusa di aver reperito le risorse da una fantomatica riforma dello “stato sociale”. Suppongo che si riferisca al fatto che la norma originaria prevedesse anche una razionalizzazione delle prestazioni assistenziali e di alcune previdenziali. Solo che la Senatrice Lezzi evidentemente non sa che la norma fu stralciata durante l’esame del provvedimento alla Camera (in ogni caso, il discorso qui sarebbe ben più complesso, ma lo facciamo un’altra volta).
Nei fatti, si è proceduto solo al riordino di alcune prestazioni assistenziali legate alla povertà, perché l’obiettivo era fare una misura unica. Ma queste misure sono soltanto il SIA, di cui si è già detto, e l’ASDI (uno strumento post indennità di disoccupazione creato dal governo Renzi con il jobs act). Per quanto riguarda la Social Card, pur essendo uno strumento esiguo e molto criticabile, è riassorbita solo per coloro che prenderanno il ReI, mentre coloro che non vi avranno diritto, ma hanno diritto alla social card, continueranno a prenderla. Insomma, tutto si può dire tranne che le risorse per il ReI siano state prese da risorse già stanziate per la povertà. Ed è piuttosto facile verificarlo, perché prima degli stanziamenti del governo Renzi, non esistevano risorse per la povertà se non quelle (esigue) per la Social Card, che in buona parte continueranno ad esserci.
Va poi sottolineato che, così come ci eravamo impegnati a fare fin dall’inizio, le cifre stanziate per il fondo di contrasto alla povertà nei diversi anni sono sempre aumentate: 750 milioni nel 2016, 1,3 miliardi nel 2017, 1,8 miliardi nel 2018. E questo al netto dei fondi europei, di cui sono già stati stanziati più di 480 milioni per un triennio. All'aumento dello stanziamento si accompagna l'aumento del numero dei nuclei familiari potenzialmente destinatari (220.000 nel 2016, 400.000 nel 2017, 660.000 nel 2018). Naturalmente intendiamo proseguire in questo graduale aumento fino ad arrivare alla copertura totale di tutti i nuclei in condizione di povertà assoluta. E arriviamo infine alla critica sulla durata della misura: anche in questo caso, il discorso è complesso e non voglio entrare nel merito. Vorrei solo provare a far comprendere che far funzionare una simile innovazione in tutto il territorio nazionale richiede molto impegno da parte di molti attori, richiede un serissimo monitoraggio che possa portarci (senza drammi, come succede nei paesi normali) a modificare quelli che si evidenzieranno come punti deboli. Proprio per questo nel decreto è previsto che lo strumento amministrativo del Piano nazionale triennale per il contrasto alla povertà possa rimodulare importo, durata e destinatari del beneficio (cioè non occorre modificare la legge).
Ma per sapere tutto questo la Senatrice Lezzi dovrebbe aver letto, almeno di sfuggita, la legge delega e poi il decreto attuativo. Più comodo dire sciocchezze in libertà, nella convinzione che tanto chi la ascolta e la applaude non si curerà mai di verificare le sue parole.