Risoluzione in Commissione Affari Sociali sul tema della gestione associata dei servizi sociali

Venerdì 1 Dicembre 2017 2601

Risoluzione in commissione 7-00880
presentato da
PIAZZONI Ileana Cathia
testo presentato
Lunedì 11 gennaio 2016
modificato
Mercoledì 27 gennaio 2016, seduta n. 556

La Commissione XII,

premesso che:

la legge 8 novembre 2000, n. 328, finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a superare la semplice assistenza del singolo, garantendo il sostegno della persona all'interno del proprio nucleo familiare, ha cambiato profondamente il sistema dei servizi e degli interventi sociali affermatosi fino ad allora sul territorio italiano ricoprendo un ruolo decisivo, in molti casi, per una sua effettiva attuazione;

contestualmente all'approvazione di detta legge, ha visto la luce la legge costituzionale n. 3 del 2001, legge di riforma del titolo V della Costituzione. Con essa la competenza normativa esclusiva in materia di servizi socio-assistenziali è stata attribuita, in via residuale, in capo alle regioni, permanendo in capo allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Tale ridefinizione del riparto di competenze tra il livello centrale e quello regionale ha senza dubbio attenuato secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la forza riformatrice della legge n. 328 del 2000, pur rimanendo quest'ultima ancora oggi, a quindici anni dalla sua approvazione, legge quadro di riferimento per il sistema di welfare italiano. La sua attuazione si è dunque affermata sulla base di leggi regionali di recepimento e riordino del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Occorre tuttavia precisare che non tutte le regioni hanno provveduto ad emanare l'apposita normativa attuativa: sono 14 infatti (assieme alla provincia autonoma di Trento) quelle che si sono mosse in questa direzione, ridefinendo il quadro organico del settore;

la legge n. 328 del 2000 ha messo in campo un esteso tentativo di decentramento territoriale e di redistribuzione delle responsabilità, investendo gli enti locali di un ruolo centrale – anche in virtù del principio della sussidiarietà verticale – e caratterizzandosi per la promozione dell'integrazione tra i diversi attori istituzionali e sociali nel senso della ricerca di un livello adeguato di collaborazione, programmazione e gestione condivisa del sistema locale dei servizi. In tale ottica gli enti locali sono chiamati ad implementare forme di aggregazione intercomunale (ambiti territoriali) e a promuovere forme unitarie di organizzazione e gestione associata dei servizi in ambito distrettuale (piano di zona) attraverso accordi formali;

per gestione associata dei servizi sociali deve dunque intendersi l'utilizzo di una forma organizzativa per la gestione unitaria dei servizi sociali di più comuni. La sua dimensione ottimale di riferimento comprende tutti i comuni dell'ambito sociale e il suo obiettivo strategico è quello di garantire in modo efficiente ed omogeneo i livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) in tutto il territorio;

la forma per la gestione associata dei servizi sociali viene lasciata, da tutte le regioni, alla autonoma determinazione dei comuni che possono scegliere fra le forme previste dal testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000 – testo unico degli enti locali, in seguito TUEL);

le possibili forme associative degli enti locali sono previste dal TUEL agli articoli 30 (convenzioni), 31 (consorzi), 32 (unioni di comuni), 33 (esercizio associato di funzioni e servizi) e 34 (accordi di programma). Alcune regioni hanno ampliato inoltre le citate possibilità. È il caso, ad esempio, della provincia autonoma di Bolzano che ha previsto con legge, un'azienda dei servizi sociali ad hoc per la gestione dei servizi sociali della città di Bolzano, o della regione Friuli-Venezia Giulia che ha previsto che i comuni possano costituire, anche in forma associata con altri enti locali e con soggetti privati, nuove aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP) per gestire servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, si tratta di una possibilità già introdotta dalla regione Emilia Romagna e in seguito anche dalla regione Puglia e dalla regione Marche. Realtà di gestione associata diverse sono nate anche in assenza di indicazioni normative regionali: è il caso delle aziende speciali (consortili o monocomunali) sviluppatesi nella regione Lombardia;

il quadro delineato mostra con chiarezza come sussistano diverse possibilità organizzative per la realizzazione della gestione associata dei servizi sociali, ciò in forza del dato normativo, ma anche sulla scia di indicazioni ed esperienze assai diverse che provengono dalle regioni e dai comuni;

semplificando, la scelta di gestione associata può essere realizzata secondo le seguenti possibilità: i patti di collaborazione amministrativi, come le convenzioni tra comuni oppure la delega dei comuni alle azienda sanitaria locale (Asl); la società o l'ente di diritto pubblico, come l'azienda speciale anche consortile, il consorzio, la comunità montana, l'unione di comuni; la società di diritto privato come la società per azioni, la società a responsabilità limitata e la fondazione;

le possibilità sopra elencate presentano, ciascuna, determinate caratteristiche funzionali e aspetti peculiari. Senza dubbio alcuno le società o gli enti di diritto pubblico mostrano particolari punti di forza e vantaggi per gli enti locali, avendo personalità giuridica e autonomia gestionale, amministrativa e finanziaria. I patti di collaborazione amministrativa, d'altro canto, rappresentano una forma associativa «leggera», ampiamente diffusa, specie in determinate esperienze regionali;

quest'ultima forma associativa tra comuni per la gestione dei servizi sociali, soprattutto quando è realizzata nella forma dell'accordo di programma, incontra specifici aspetti problematici, legati essenzialmente al fatto che l'organo di indirizzo politico (il comitato o la conferenza dei sindaci) non possiede uno status giuridico riconosciuto, ovvero è privo di personalità giuridica autonoma. In questo caso, la gestione del piano sociale di zona ricade formalmente e contabilmente sul comune capofila, che tuttavia non usufruisce di nessuna deroga specifica ai vincoli di legge per lo svolgimento di una funzione che in realtà investe non il proprio territorio ma quello di un numero più o meno ampio di comuni;

in molti casi, il comune capofila non è individuato in modo stabile e definitivo dalla legge regionale, ma la funzione viene assunta a rotazione dai vari comuni appartenenti all'ambito territoriale. Tutto ciò determina notevoli problemi relativamente alla gestione finanziaria dei fondi, alla gestione tecnico-amministrativa dei servizi e alla situazione lavorativa e professionale degli operatori afferenti alla struttura tecnica (usualmente denominata «ufficio di piano»), deputata all'attuazione delle linee di indirizzo formulate dall'organo di indirizzo politico e a svolgere funzioni di supporto tecnico dello stesso e di gestione ed implementazione dei servizi e degli interventi sociali;

riguardo ai lavoratori degli uffici di piano, essi sono da anni sottoposti a un regime di precariato, con tipologie contrattuali che vanno da contratti a tempo determinato a contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ai contratti stipulati con lavoratori con partite iva o che operano presso agenzie interinali; alcuni servizi sono inoltre esternalizzati a cooperative sociali. Quest'ultima ipotesi desta particolare preoccupazione in quanto le professionalità in questione svolgono funzioni particolari, che spesso attengono al controllo sui percorsi di affidamento e alla valutazione dei risultati inerenti la programmazione degli interventi socio-sanitari. Appare quantomeno discutibile, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, che si possa giungere all'esternalizzazione di figure professionali deputate a valutazioni oggettive che, per essere tali, devono risultare scevre da qualsiasi condizionamento. Quanto esposto, assieme al quadro normativo sui contratti di lavoro dei soggetti che operano alle dipendenze della pubblica amministrazione e sui vincoli finanziari degli enti locali, rendono di fatto impossibile un'assunzione a tempo indeterminato di questi tecnici. Ciò a discapito delle importantissime funzioni svolte, fondamentali per una piena ed efficace applicazione della legge n. 328 del 2000 e per consentire un'evoluzione dei servizi locali di welfare che miri alla qualità e alla appropriatezza delle risposte ai bisogni socio-sanitari rilevati;

le esperienze di gestione associata dei servizi sociali realizzate attraverso la costituzione di società o enti di diritto pubblico (aziende speciali e consortili, consorzi, società della salute) comportano indubbiamente determinati vantaggi che muovono innanzitutto dall'azione di un soggetto unico, ove l'adesione degli enti locali determina una maggiore condivisione degli interessi anche in presenza di un'azione di indirizzo politico più incisiva. Tali vantaggi possono declinarsi in un miglioramento dell'integrazione socio-sanitaria, nella possibilità di reinvestire le economie di scala realizzate, nella capacità di mobilitare e valorizzare le risorse territoriali in un contesto più ampio di quello comunale, nella riduzione dei costi indotti e gestionali, nonché dei tempi decisionali, nella possibilità di usufruire di personale tecnico dell'ufficio di piano stabile, attraverso una pianta organica definita;

la realizzazione di tali modelli di gestione associata dei servizi sociali ha incontrato tuttavia diverse difficoltà dovute principalmente a una normazione a volte contraddittoria e promanante da fonti legislative diverse;

riguardo alla competenza normativa occorre ribadire come la materia dei servizi sociali, a Costituzione vigente, sia attribuita in via esclusiva alla potestà normativa delle regioni e come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2004, abbia dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 113-bis del TUEL – che recava disciplina statale dei servizi privi di rilevanza economica 2, in quanto, nella valutazione della Consulta, i servizi citati non afferiscono alla materia della concorrenza (di esclusiva competenza statale). La relativa disciplina è dunque estranea alla potestà legislativa statale ma appartiene a quella delle regioni;

successivamente a tale pronuncia, si sono tuttavia susseguite una serie di norme statali che hanno contribuito a complicare il quadro normativo e posto rilevanti difficoltà per alcuni modelli di gestione associata dei servizi sociali operanti in diverse regioni;

basti pensare agli effetti dell'articolo 2, comma 28, della legge n. 244 del 2007 (legge di stabilità per l'anno 2008) in forza del quale a ogni amministrazione comunale veniva consentita l'adesione ad una unica forma associativa tra quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del TUEL. Tale disposizione è venuta meno per i consorzi socio-assistenziali in forza della previsione di cui all'articolo 20, comma 5, lettera f) quater del decreto-legge n. 90 del 2014, così come convertito dalla legge n. 114 del 2014;

la legge di stabilità per l'anno 2010, legge n. 191 del 2009 ha poi disposto la soppressione ope legis, con l'articolo 2, comma 186, dei consorzi di funzioni costituiti ai sensi dell'articolo 31 del TUEL, mettendo ulteriormente in difficoltà gli enti locali;

a seguire, alcune norme del decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetto spending review), nello specifico, il dettato dell'articolo 19, hanno previsto, per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, l'obbligo all'esercizio in forma associata, mediante unione dei comuni o convenzioni, delle funzioni fondamentali. A riguardo si è posto il dubbio se tale obbligo potesse essere assolto dalle aziende sociali; dubbio non sciolto definitivamente date le interpretazioni di carattere opposto addotte dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Lazio, nella deliberazione del 17 maggio 2013, e dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, nella deliberazione del 16 gennaio 2013;

il recente decreto legislativo n. 39 del 2013, recante alcune disposizioni contro la corruzione ha stabilito inoltre (articolo 11, commi 2 e 3 e articolo 12 comma 4) l'inconferibilità e l'incompatibilità alla carica di amministratore di ente pubblico per coloro i quali rivestano il ruolo di componente di una giunta comunale o di consigliere comunale di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione. La norma, pur avendo una ratio fondata, investe in maniera rilevante il settore dei servizi sociali, in quanto comporta che, in un'ottica associativa, i comuni con popolazione maggiore non possano esprimere il presidente in seno all'ente di diritto pubblico costituito per la gestione associata dei servizi sociali. Essendo tali servizi principalmente finanziati con risorse dei singoli enti locali, l'adesione dei comuni alla gestione associata è in larga parte condizionata alla capacità di esprimere efficacemente rappresentanza politica. Un'interpretazione restrittiva della norma citata pone un ostacolo importante all'incentivo alla gestione associata, se percepita come limite alla rappresentanza dei comuni negli organi decisori;

le ragioni alla base della gestione associata dei servizi sociali promossa dalla legge n. 328 del 2000 si sono dimostrate più che fondate, garantendo: una maggiore distribuzione uniforme dei servizi nel territorio nazionale e i livelli essenziali delle prestazioni sociali anche nei piccoli comuni, una gestione unica del piano di zona, la possibilità di sviluppare economie di scala, l'innalzamento della qualità organizzativa e il miglioramento qualitativo e sul piano dell'efficienza dei servizi sociali. Nonostante ciò, sulla specifica materia, interventi legislativi da parte di fonti diverse hanno portato alla creazione negli ultimi anni di un corpus normativo contraddittorio e disomogeneo, dove la successione in un arco temporale relativamente breve di norme statali, regionali e di pronunce della Corte costituzionale ha contribuito alla creazione dell'attuale situazione di confusione normativa, rendendo difficile e incerto per gli enti locali investire in questa direzione;

la riforma costituzionale attualmente in via di approvazione ha riportato nel novero della potestà legislativa dello Stato la disciplina delle disposizioni generali e comuni in materia di politiche sociali e sanitarie, potestà che, nell'ultima versione del nuovo Titolo V approvato al Senato, può essere devoluta alle regioni con legge statale. La riforma attribuisce altresì alla competenza legislativa esclusiva statale la nuova materia delle disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni;

l'esperienza di questi 15 anni di applicazione della legge n. 328 del 2000 ha mostrato, da un lato, la necessità che le forme di gestione associata dei servizi sociali tengano conto delle esigenze, degli obiettivi e delle caratteristiche locali, dall'altro, maggiori problematiche per le forme di gestione associata che si sviluppano in assenza di un autonomo soggetto dotato di personalità giuridica; la gestione associata dei servizi sociali, in quanto modalità organizzativa essenziale all'attuazione di diritti fondamentali, necessita di norme di chiusura chiare, che permettono in situazioni di inadempienza o inefficienza, agli enti sovraordinati di agire in via sostitutiva, secondo un indirizzo definito,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative per chiarire il quadro normativo sopra citato, con particolare riguardo alle disposizioni inerenti ai consorzi socio-assistenziali e alle aziende speciali, ridefinendo in modo chiaro le condizioni entro cui gli enti locali possono aderire e dar vita a tali forme strumentali per la gestione associata dei servizi sociali;

a promuovere in sede di Conferenza Unificata un tavolo di confronto sul tema della gestione associata dei servizi sociali, facendo sì che 2, nel rispetto delle specifiche competenze normative 2, le regioni indichino le modalità di gestione associata dei servizi sociali di cui possono usufruire gli enti locali, esprimendo chiara preferenza per le forme associative dotate di autonoma personalità giuridica, condizionando le forme convenzionali alla stabile afferenza dell'ufficio di piano a un determinato ente locale e valutando altresì la possibilità di stabilire un regime specifico per le funzioni svolte dai comuni capofila.