Va ripensata l'indennità di accompagnamento - Il Sole 24 Ore

Lunedì 30 Aprile 2018 di Stefano Sacchi, Il Sole 24 Ore 4823

AL PASSO COI TEMPI - Le famiglie devono poter scegliere tra un assegno di cura e un budget vincolato all'acquisto di servizi professionali

L’invecchiamento della popolazione porterà con sé nuovi bisogni. Tra questi, i bisogni di cura per quella fase della nostra vita in cui ci possiamo aspettare di dipendere in modo più o meno intenso dagli altri. È il grande tema della non autosufficienza, che ovviamente coinvolge anche forme di disabilità in età non avanzata.

L'Italia ha introdotto da tempo un'importante misura per far fronte a tutto questo: l'indennità di accompagnamento, che da sola vale circa n miliardi di euro all'anno. A differenza degli altri grandi paesi europei, però, non l'ha poi adeguata al mutamento dei bisogni. Occorre farlo ora, per essere preparati per il futuro. E il perché è noto da tempo agli esperti. Manca una protezione adeguata per condizioni di disabilità molto elevata, perché l'indennità non è graduata in base ai livelli di gravità. I criteri di accesso sono di tipo "dentro o fuori" e così generici da lasciare spazio a grandi margini di discrezionalità. L'indennità è erogata soltanto in forma monetaria, come assegno di cura.

Questo ostacola sia la creazione di un mercato regolare e certificato di servizi di cura, sia la possibilità  di ricevere un mix di trasferimenti e servizi diretti. Il riconoscimento dell'indennità avviene senza supporto, consulenza, informazione alla persona e alla famiglia, nonché senza un piano di assistenza individualizzato. Non è prevista alcuna forma di integrazione tra indennità e reti di offerta dei servizi a livello locale, nonché con gli interventi introdotti da regioni e comuni.

Una buona riforma, in primo luogo, deve dare di più a chi ha più bisogno, graduando l'importo dell'indennità in relazione al livello di disabilità, accertato utilizzando sistemi multidimensionali di valutazione così come avviene negli altri grandi paesi europei. Ad esempio individuando tre o quattro fasce di disabilità, da lieve a molto grave.

L'accesso alla misura deve restare universale così come è oggi, e deciso soltanto in base alle condizioni di disabilità: tutti i non auto sufficienti accedono. L'entità della misura deve dipendere però dalla gravità delle condizioni: a differenza di oggi, chi ha disabilità gravi o gravissime deve avere di più di chi ha disabilità lievi o medie. Si può poi discutere se graduare la misura anche rispetto alle condizioni economiche della famiglia. Con pro e contro:i costi per le disabilità gravi sono tali da mettere in difficoltà anche famiglie benestanti. In ogni caso, l'accesso deve restare universale, è la misura che può essere graduata.

Il secondo cardine di una buona riforma consiste nel dare alle famiglie la possibilità di scelta tra un assegno di cura non vincolato, come oggi, e un budget di cura vincolato nel suo utilizzo, ma di importo più elevato. Si tratta di una somma utilizzabile soltanto per l'acquisto di servizi professionali accreditati o per l'impiego regolare di assistenti familiari certificati. Come funziona? Esattamente come negli altri paesi europei: attraverso un voucher per l'acquisto di servizi di cura presso fornitori accreditati, oppure a fronte di un contratto di lavoro individuale registrato con un assistente familiare (cioè un badante). Perché incentivare il budget di cura garantendo a chi sceglie questa opzione un importo più elevato dell'assegno di cura? Perché i non autosufficienti e le loro famiglie devono avere accesso a servizi di qualità, essere informati, consigliati e sostenuti e per farlo bisogna costruire un mercato regolare di servizi e di lavoro professionale, con effetti positivi anche sull'emersione del lavoro nero.

Negli ultimi anni sono state elaborate varie proposte di riforma, che si differenziano per alcuni dettagli ma condividono le scelte di base, riflettendo l'elevato grado di consenso tra esperti e operatori su cosa è necessario fare. La proposta Inps, analizzata a pagina 5, è tra le più articolate. Queste proposte non sono a costo zero: prevedono tutte un incremento di spesa, parzialmente compensato dalla regolarizzazione contributiva. In ogni caso, anche consentendo ai beneficiari attuali di optare per il nuovo più favorevole regime, se io desiderano, i costi della riforma sarebbero contenuti: tra 1 e 1,5 miliardi l'anno in più. Non molto, per una riforma necessaria, che chiunque formi il prossimo governo dovrebbe mettere in cima analista delle cose da fare.